«Giustizia a tempo? Ridicolo. Ma basta con i pm assetati di protagonismo»
INTERVISTA. Edmondo Bruti Liberati sulla tempesta mediatico-giudiziaria che ha travolto la Lega: «Difficile che un leader politico non risponda di vicende private»
È «stucchevole» che si parli ancora di «giustizia a orologeria». E la politica deve essere capace di una «autonoma assunzione di responsabilità» che prescinda dall’effettiva rilevanza penale dei fatti. Edmondo Bruti Liberati, interpellato sul “caso del giorno”, la tempesta mediatico-giudiziaria in corso sul-la Lega, non fa si lascia intenerire dalle letture complottiste. Eppure il magistrato che è stato per anni al vertice della Pro-cura di Milano, e anche delle toghe progressi-ste di “Md”, riconosce un problema più generale: «Le esternazioni lesive del principio di innocenza e in contrasto con i criteri dell’equilibrio e della misura di alcuni pm». Non saranno mai abbastanza sottolineati, dice Bruti liberati, «i danni che provocano alla complessiva credibilità della giustizia»
Partiamo dal clima sulla giustizia. Sembra cambiato. Poi però il caso Morisi ci riporta al solito canovaccio. Ma davvero le vicende penali devono pesare fino a questo punto sulla politica?
La giustizia penale ha riflessi sulla politica in tutti i paesi democratici. L’ascesa di Macron in Francia è stata favorita da un’indagine penale che ha coinvolto un potenziale candidato alla presidenza. Ma in Italia più che altrove vi è un problema irrisolto: la netta distinzione tra responsabilità penale e responsabilità politica.
Che però spesso vengono fatte coincidere.
La politica, di fronte ai fatti che emergono da un’indagine penale, è chiamata ad una autonoma valutazione e alla correlativa assunzione di responsabilità. Faccio riferimento a una questione che si è posta più volte: indagine a carico di politici, professionisti o imprenditori per concorso esterno in associazione mafiosa. È doveroso il rispetto della presunzione di innocenza e anche, eventualmente, la sottolineatura critica della fragilità dell’accusa rispetto a una imputazione così problematica. Ma ciò non significa ignorare che possono già emergere relazioni, circostanze, frequentazioni sulle quali, indipendentemente dalla eventuale qualificazione penale, è doverosa una autonoma valutazione. La mancata assunzione di questa responsabilità da parte della politica determina una sovraesposizione della magistratura, dannosa per la magistratura tanto quanto lo è per la politica. Ho scelto di proposito il riferimento a vicende maturate in un settore ben diverso da quello che oggi è al centro dell’attenzione. Ma il tema è lo stesso, poiché ovunque vicende private di personaggi pubblici hanno rilievo e conseguenze politiche. Tanto più quando emerga il contrasto tra la vicenda privata e le pubbliche prese di posizione.
Però le strumentalizzazioni degli avversari possono essere esagerate al pari dei vittimismi sulla giustizia a orologeria: non è così pure per il caso Morisi?
È davvero stucchevole il ritornello della giustizia a orologeria, che evidenzia la sua fallacia proprio per essere riproposto all’infinito. I tempi delle indagini dipendono da molteplici circostanze e altrettanto vale per l’emergere di notizie che la libera stampa doverosamente riporta. A fronte di scadenze politiche che non sono solo elezioni locali o nazionali, ma votazioni in Parlamento o momenti di confronto fra forze politiche, l’indagine penale, a seconda dei punti di vista, sarebbe sempre troppo tempestiva o colpevolmente tardiva.
Che pensa delle novità sul penale? Alcune norme contenute nel ddl Cartabia, come quelle sul rinvio a giudizio, possono essere utili a riequilibrare il peso della giustizia nel dibattito pubblico?
Il dibattito sul processo penale si è concentrato sulla prescrizione in un clima di contrapposizione da tifo da stadio. L’irrigidimento del partito di Bonafede ha imposto una soluzione giustamente criticata per la sua irrazionalità, ma ora non resta che esaminare come opererà nella pratica, per adottare eventualmente i correttivi. L’obiettivo per i processi è quello di farli, farli in tempo ragionevole ed evitare che cadano nel nulla per prescrizione o improcedibilità. Lo scontro tutto ideologico sulla prescrizione ha finito per porre in seconda linea le altre riforme.
Quali la convincono?
Sono divenute legge molte delle innovative proposte della Commissione Lattanzi, a partire dall’ampliamento dei criteri per l’archiviazione, che eviterà processi inutili e gravosi per gli imputati. Non è stata abbastanza sottolineata l’importanza dell’accesso diretto alle pene alternative che eviterà un periodo, spesso oggi non breve, di carcere in attesa della decisione del Tribunale di Sorveglianza. Una opportuna norma garantista prevede il controllo ex post in materia di perquisizioni, atto necessariamente a sorpresa, disposto dal pm senza preventiva autorizzazione del gip. In questa linea oggi si aggiunge la previsione dell’autorizzazione del gip per l’acquisizione dei tabulati telefonici. Oltre al decreto sulla presunzione d’innocenza, sul tavolo ci sono proposte che puntano a inasprire le sanzioni per la rivelazione del segreto e la pubblicazione arbitraria degli atti penali: cosa ne pensa?Il problema che si pone più spesso nella pratica non è quello della pubblicazione di notizie segrete, ma di atti che non sono più segreti perché comunicati alle parti. L’ipocrisia dell’attuale normativa va superata non inasprendo le sanzioni, ma all’opposto eliminando ogni limite alla pubblicazione. Ciò naturalmente imporrà ai magistrati, pm e gip, scrupolosa attenzione ad eliminare, ad esempio nella citazione di intercettazioni telefoniche, riferimenti a vicende private non pertinenti o a terzi estranei. Altrettanta responsabilità è rimessa alla deontologia dei giornalisti.Resta però in piedi la questione del processo mediatico.
Il decreto sulla presunzione d’innocenza è sufficiente a favorire il rispetto di quel principio?
La presunzione d’innocenza trova la sua essenziale tutela nelle norme del processo sulle garanzie del diritto di difesa. Da questo punto di vista è motivo di legittimo orgoglio che su questi profili non siano necessarie ulteriori norme di attuazione della direttiva Ue. Molto delicato è il tema delle misure da adottare per assicurare la tutela del principio con riferimento alla comunicazione da parte della magistratura e alla informazione sui media, individuando un punto di equilibrio rispetto al diritto di informazione, di cronaca e di critica.
Non si può fare altro contro la “gogna”?
La pretesa di intervenire sul terreno della comunicazione con normative apparentemente stringenti si rivela insieme vana e potenzialmente lesiva degli altrettanto rilevanti valori dell’informazione, della cronaca e della critica. Qualunque normativa il nostro legislatore adotterà, rimane essenziale l’assunzione di responsabilità e la deontologia degli operatori di giustizia e degli operatori dell’informazione.
Anche dei magistrati dunque?
Non saranno mai abbastanza sottolineati i danni che provocano alla complessiva credibilità della giustizia le esternazioni lesive del principio di innocenza e in contrasto con i criteri dell’equilibrio e della misura di alcuni magistrati, soprattutto pubblici ministeri. È fondamentale il riferimento al rispetto della dignità della persona sottoposta ad indagini e processo e anche definitivamente condannata, quale che sia la colpa di cui si è macchiata. Non è un caso che nella nostra Costituzione e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, sin dai primi articoli, dignità e diritti della persona si presentino come inscindibili. La Carta dei diritti dell’Unione europea si apre con “Articolo 1 - Dignità umana. La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata...”.