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È iniziato venerdì il XII congresso nazionale dell’Ami (Associazione avvocati matrimonialisti Italiani per la tutela delle persone, dei minorenni e della famiglia). Un’occasione importante, alla presenza di giuristi e rappresentanti dell’avvocatura – fra questi la presidente del Cnf, Maria Masi –, per discutere su fine vita, vaccini e Tribunale unico per le persone e la famiglia. «Io penso che i congressi, soprattutto come quelli organizzati da noi – dice al Dubbio il presidente dell’Ami, Gian Ettore Gassani, -, siano molto importanti per l’opinione pubblica. Gli avvocati hanno fatto la loro parte durante la pandemia e si stanno ancora impegnando tanto. A volte intervenendo pure gratuitamente per risolvere questioni spinose. Credo che oggi l’approccio multidisciplinare sia indispensabile e fondamentale per parlare di fenomeni familiari. L’Ami ha aperto le porte a relatori di altre professioni, come psicologi, psichiatri, medici legali. Gli avvocati devono iniziare a parlare con la gente, con tutti, andando nei quartieri, sensibilizzando le persone per esercitare i propri diritti. L’avvocatura deve cambiare pelle e l’avvocato, dato il suo ruolo sociale, deve sapere comunicare con tutti».
Avvocato Gassani, il Congresso dell’associazione da lei presieduta sarà l’occasione per discutere sui tre maggiori temi che stanno occupando di più il legislatore e l’avvocatura. Quale sarà il contributo dell’Ami?
Il contributo dell’Ami è decisivo. Siamo stati in grado di intercettare tre temi del giorno: fine vita, la riforma Cartabia che cambia i connotati del processo di separazione e divorzio e tende a creare un unico rito. Poi parliamo di vaccini e dei minorenni che hanno fatto causa ai genitori no vax per ottenere il vaccino.
La riforma del diritto di famiglia come viene valutata dall’Ami?
La riforma Cartabia che riguarda, soprattutto, il diritto di famiglia, è indubbiamente una buona riforma, perché va a ridurre la frammentazione delle competenze giurisdizionali. Fino ad oggi, abbiamo ancora tre giudici che si occupano fondamentalmente della stessa materia. Mi riferisco al giudice ordinario, al giudice minorile e al giudice tutelare. Tutto questo non può essere più ammissibile. Pertanto, il giudice del Tribunale per la famiglia e per le persone è indubbiamente un punto di partenza imprescindibile. Ci sarà un unico processo per tutti. Non ci saranno più differenze. Ci sono alcune questioni che potranno dividere gli addetti ai lavori, come l’utilizzo o meno dei giudici onorari in alcune fasi. Il problema che mi preoccupa di più è, però, quello di conoscere quanti soldi saranno messi a disposizione per potenziare il Tribunale per la famiglia. Purtroppo, veniamo da una stagione di leggi a costo zero. Occorre investire molto nel settore giustizia e staremo a vedere cosa succederà.
Qual è la vostra posizione sul tema del diritto del paziente incurabile di prestare il valido consenso per porre fine alla propria vita attraverso l’eutanasia?
L’Ami, da sempre, ha una posizione netta nel senso di garantire al malato terminale, incurabile, ritenuto tale da una commissione, il diritto di porre fine alla propria esistenza. Da sempre noi combattiamo insieme a Marco Cappato, Mina Welby, Filomena Gallo, Giovanni Baldini perché riteniamo che anche la morte debba avere una sua dignità. Siamo contrari all’accanimento terapeutico. Siamo favorevoli alla apertura della eutanasia o del suicidio assistito. Ovviamente quando ricorrono condizioni estreme, quando il paziente è incurabile e quando il paziente è in grado di prestare un valido consenso. È importante evidenziare questi concetti. È utile infatti ricordare che in Italia si consumano ogni anno mille suicidi legati a persone malate terminali. Senza dimenticare il fenomeno del cosiddetto “turismo della morte”, riguardante i cittadini italiani che vanno all’estero per sottoporsi ad eutanasia. Non è tollerabile questa situazione in uno Stato di diritto come il nostro. L’Italia si deve allineare alle posizioni di altri Paesi, senza dimenticare che sia la vita che la morte hanno una dignità da rispettare.
Nel suo ultimo libro, “La guerra dei Rossi” ( edizioni Diarkos), lei sottolinea la centralità del ruolo dell’avvocato e racconta storie di vita forense. Il Covid ha destabilizzato le famiglie? Quanto sono profonde le ferite della pandemia?
Il mio ultimo saggio ha colto alcuni aspetti della violenza intra- familiare durante la pandemia. Mi sono occupato di episodi effettivamente accaduti nel mio studio. Storie che ho trattato personalmente e che sono avvenute anche prima della pandemia. Ho affrontato tutte le sfumature della violenza. O meglio delle violenze che si consumano tra le mura domestiche. Credo che il successo riscontrato tra i lettori sia dovuto al fatto che è un libro scritto in italiano e non in “avvocatese”. Un libro per tutti in cui parlo di omofobia familiare, di scontri tra genitori e figli, di violenza a tutti i livelli. Non solo quella di genere. Episodi di madri coraggio che denunciano i figli spacciatori. Insomma, uno spaccato della famiglia italiana che non è più quella che veniva descritta in un celebre spot. Anche nelle famiglie italiane, purtroppo, si consumano i fatti peggiori sotto il profilo penale e morale. Le ferite della pandemia sono state elevate, con un aumento delle violenze del novanta per cento, ma la violenza in famiglia è un fenomeno strutturale che va affrontato come una emergenza nazionale.