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Il processo mediatico «si distacca completamente dalla realtà», ha spiegato il neo presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Pasquale Grasso, nella bella intervista di Mattia Feltri sulla Stampa. «Il processo mediatico è una deriva non più accettabile», aveva ammonito Andrea Mascherin, presidente del Cnf, nella relazione al Congresso forense di Roma di una settimana fa. Stessi concetti, medesimo linguaggio tra magistrati e avvocati. Dunque tutto a posto? Se la questione riguardasse solo gli aspetti, per così dire, “tecnici” del processo, presumibilmente sì. C’è tuttavia una dimensione che merita di essere approfondita e attiene al ruolo dell’opinione pubblica, alla pressione che viene svolta nei modi più vari e che rischia di condizionare l’esercizio della giustizia con l’obiettivo di piegarla agli umori del momento.
Per capirci. Alla fine degli anni ’ 90, nel pieno della bufera di Mani Pulite, le toghe vennero caricate - più o meno strumentalmente, e forse più che meno - del compito di essere lavacro delle ruberie e debellatori della corruzione di una classe politica screditata e inaffidabile. «Condottieri e risanatori. Alla lunga non è stata una buona cosa e c’è stato un riflusso», dice sempre Grasso. Va aggiunto che chi allora svolgeva il compito costituzionale di difesa degli indagati spesso veniva vissuto, da opinione pubblica e media, come correo o ostacolo al giusto e necessario meccanismo di risanamento politico e morale del Paese. Trent’anni dopo, il sentimento popolare volge all’opposto: i giudici che si rifanno alle regole e alla legge per valutare responsabilità e addebiti vengono criticati dai cittadini e attaccati dai leader politici a volte nel corso stesso delle indagini. Mentre nell’immaginario collettivo gli avvocati sono rimasti lì: non un ostacolo alla giustizia, ma comunque cultori di tortuosità e sviamenti. Insomma il garantismo in quell’epoca rivolto agli accusati dovrebbe diventare ora barriera a difesa dell’operato dei magistrati. Perché la “pancia” degli italiani ha cambiato verso.
Però l’esercizio della giustizia è altro. Lo Stato di diritto non è una clessidra che si può rovesciare per segnare i tempi delle necessità e delle convenienze. Idem il garantismo, qualunque sia l’accezione che se ne voglia dare. Le regole vanno rispettate sempre e comunque. E chi è chiamato ad interpretarle esprime il senso più pieno della democrazia. Il garantismo occasionale, come il suo rovescio, è una tentazione comoda. Ma deleteria.