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Paolo Mieli ha scritto un articolo sul “Corriere della Sera”, a proposito dell’arresto di Ignacio Lula, ex presidente del Brasile, nel quale pone una questione molto seria. Come mai si chiede - diversi esponenti della sinistra italiana oggi solidarizzano con Lula e mettono in discussione una sentenza di un tribunale brasiliano, avanzando l’ipotesi di un complotto politico contro di lui - e comunque una interferenza della magistratura nella battaglia elettorale - e in passato non solidarizzarono mai con i loro avversari politici danneggiati elettoralmente dalle inchieste, dagli avvisi di garanzia, dalle sentenze?
Il riferimento di Mieli è abbastanza esplicito ed è soprattutto a Berlusconi e ai molti processi contro di lui, e anche, forse, se andiamo indietro nel tempo, a Bettino Craxi e all’inchiesta Mani Pulite. Ci sono diversi passaggi dell’articolo di Mieli che non condivido. Soprattutto quelli sul merito del processo brasiliano e della sentenza. Ha ragione Paolo Mieli: non si può essere garantisti solo per Lula
Mieli sostiene che nel processo contro Lula è stato dimostrato che esiste un contratto di acquisto di un superattico ( che sarebbe l’oggetto della corruzione da parte di una società privata in cambio di favori da Lula) firmato dalla moglie dell’allora presidente del Brasile. Il punto è che questa firma non c’è, e che non esiste nessuna carta che dimostra che quell’appartamento fosse diventato proprietà di Lula, anzi, esistono molte carte che dimostrano il contrario. Tanto che, recentemente, la società che avrebbe corrotto Lula regalandogli l’appartamento, ha offerto lo stesso appartamento come garanzia per ottenere un prestito bancario: e questo rende francamente infondata l’ipotesi che l’appartamento fosse stato regalato a Lula, anche perché le banche, in genere, prima di accettare una garazia farlocca fanno qualche accertamento.... E quindi crollano tutti i presupposti di un processo indiziario costruito esclusivamente sulle testimonianze di alcuni pentiti che assomigliano tantissimo ai famosi pentiti del processo- Tortora.
Tuttavia ora Lula è in carcere e difficilmente potrà partecipare alle elezioni, a ottobre, mentre i sondaggi lo davano per vincente con il 20 per cento di scarto sul più forte dei suoi avversari. E di conseguenza, probabilmente, il Brasile sarà riconsegnato alla destra, e si porrà la parola fine dell’esperienza socialista democratica del Pt ( il partito dei lavoratori) guidata da Lula e che ha cambiato abbastanza profondamente le condizioni sociali del Brasile, togliendo dalla povertà svariate decine di milioni di persone.
Tuttavia il punto essenziale dell’articolo di Mieli mi pare indiscutibile. La domanda che pone a Prodi, a D’Alema, a Fassino e a tanti altri esponenti della sinistra che hanno firmato l’appello pro- Lula, sta lì e aspetta una risposta. Possibile che la sinistra sia capace di assumere coraggiose posizioni garantiste solo quando le vittime del giustizialismo - o dello strapotere di settori della magistratura - sono vittime amiche?
E’ vero che il problema si pone anche a parti invertite. E cioè succede, talvolta, che la destra lasci per strada il suo garantismo per colpire esponenti della sinistra. Però bisogna ammettere che questo avviene meno frequentemente. E che nella storia dell’ultimo quarto di secolo il tratto principale del giustizialismo ( e l’effetto principale dell’azione della magistratura) è stato l’attacco alla destra, e non alla sinistra. Così come in Brasile è stato alla sinistra e non alla destra. In particolare, è cosa stranota, la vittima del giustizialismo in Italia è stato Berlusconi. Prendiamo solo l’esempio dell’ultima condanna - che peraltro è anche l’unica condanna su circa 70 processi avviati dai Pm - quella per evasione fiscale di Mediaset che è costata a Berlusconi un anno di servizi sociali, più l’esclusione dal Senato e l’impossibilità di candidarsi alle elezioni ( e probabilmente diversi milioni di voti perduti dal suo partito sia nelle elezioni del 2013 sia, soprattutto, nelle utlime). La sentenza venne al termine di un processo indiziario e fu molto pesante ( quattro anni, tre dei quali furono cancellati solo perché era ancora in vigore l’indulto del 2006), sebbene la consistenza dell’evasione non fosse enorme ( mi pare circa 4 milioni di euro su un fatturato miliardario). Non fu provato in nessun modo che Berlusconi, che all’epoca dell’evasione era presidente del consiglio, potesse essere al corrente delle dichiarazioni dei redditi di Mediaset. E’ anzi estremamente probabile che non lo fosse, e che quindi non fosse responsabile di nessun reato. La condanna di Berlusconi fu un’ingiuria al diritto esattamente come ora lo è la condanna a Lula. Però allora le forze politiche dissero: «Le sentenze non si discutono». Frase sempre utile per evitare la discussione di merito, e che poi viene messa in discussione quando i condannati non sono tuoi nemici ( recentemente l’ha messa in discussione addirittura il Pm Di Matteo, condannato in un processo contro Giuliano Ferrara).
La verità è che il problema non è quello della insindacabilità delle sentenze, ma è che ciascuno usa le sentenze per colpire gli avversari. E i partiti politici che hanno un rapporto migliore con l’ala reazionaria della magistratura sono decisamente avvantaggiati nella lotta politica. Questo, negli ultimi 25 anni, è stato un elemento che ha distorto il funzionamento della nostra democrazia.
L’appello di D’Alema, Prodi, Fassino e tutti gli altri a favore di Lula segnerà una svolta? Cioè torneremo a vedere una sinistra garantista ( grande assente di questi decenni nella politica italiana)? Se è così evviva. Si può solo essere contenti. Ma sarà così?
E’ giusto essere ottimisti.