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«Guardi, non mi esalto per le catture». Vittorio Feltri, direttore di Libero, non si scompone davanti all’arresto di Cesare Battisti - forse il più celebre tra i latitanti italiani -, dopo trentasette anni di fuga, prima in Francia, poi in Brasile. A lui ha dedicato il suo editoriale, di cui anticipa il titolo: “Catturato come un topo, accolto come un divo”.
Direttore, nessun entusiasmo per quella che è stata vissuta come una vittoria delle Istituzioni e dei nostri servizi speciali?
Battisti è stato ricercato per moltissimi anni e, se devo dirle che cosa mi stupisce di più, sceglierei il fatto che ci sia voluto tutto questo tempo. Mi fa pensare che ci sia stata una scarsa volontà di far rispettare la giustizia.
Una cattura arrivata troppo tardi?
Di certo si sarebbe dovuti procedere all’estradizione molti anni fa, quando i delitti per cui Battisti è stato condannato erano freschi. In questo modo, anche l’opinione pubblica sarebbe stata sensibile alla questione. Oggi, invece, si vive di sentito dire ed è passato talmente tanto tempo da far sì che questa cattura non possa essere accompagnata da alcun pathos.
Dopo quasi quarant’anni, ha ancora senso che un condannato sconti la pena dopo così tanto tempo dal processo?
Mi attengo alle risultanze processuali: quando qualcuno commette quattro delitti, come ha fatto Battisti, la condanna è giusta e il fatto che siano passati dieci, venti o trent’anni non significa nulla.
Non la convince la condanna?
Come posso essere io a dire con certezza che cosa Battisti ha fatto o non ha fatto, al di là della verità processuale? Non mi addentro in considerazioni tecniche, mi limito a dire che, se è vero che ha commesso i fatti per cui è stato condannato, è giusto che venga punito. Non si poteva certo pensare che vivesse tranquillo in Bolivia. Umanamente, invece, ho qualche perplessità in più.
In che senso?
Una cosa mi fa inviperire: il fatto che un poveraccio che nemmeno si regge in piedi quando scende dall’aereo, venga non solo incarcerato ma anche condannato a sei mesi di isolamento diurno. Che cosa vuol dire? Che finalità ha questa tortura senza alcuna ragion d’essere? Se uno deve andare in galera, ci vada e basta senza questo corollario senza senso. Ecco, questo personalmente mi indigna.
Da giornalista, come valuta l’impatto mediatico del momento del suo arrivo in Italia, con il ministro dell’Interno, quello della Giustizia e la polizia schierate?
Le leggo il titolo del mio editoriale in edicola domani ( oggi per chi legge ndr): “Catturato come un topo, accolto come un divo”. Ecco, questo è il mio stato d’animo: si è mediatizzata eccessivamente questa cattura, come se avessimo vinto la lotteria di Capodanno. Le dico di più, ho scritto anche che preferivo quasi che Battisti rimanesse in Sud America, perchè così si rischia di farlo diventare l’eroe della vecchia e più becera sinistra italiana.
Fa anche questo parte della narrativa salviniana?
No, Salvini non c’entra. Io penso che sia stato tutto l’insieme a provocare questa inutile spettacolarizzazione. Il ministro dell’Interno ha fatto solo in modo di far rientrare Battisti dalla latitanza e non so dire se sia del tutto merito suo. Quello che io ho visto, però, è stato un esercito di persone ad accogliere uno che non si regge nemmeno in piedi quando scende dall’aereo. Non mi sento di avere certezze sulla vicenda processuale, mi rimangono invece perplessità sulle modalità con cui è stato tratto in arresto e portato in Italia.
Troppa enfasi, quindi?
Come sono sicuro lei immagini, non ho alcuna simpatia per la storia personale di Battisti e quello che lo sto dicendo su di lui lo ripeterei per qualunque detenuto. A indignarmi non è l’arresto e non mi addentro nel dato tecnico, mi limito a considerare l’aspetto umano della vicenda. Anche i detenuti hanno diritto alla dignità, che dovrebbe essere rispettata. Ecco, da ciò che ho visto non mi sembra che questo sia avvenuto. Mi indigno per lui e mi indignerei per qualsiasi altro.