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di Alberto Gambino e Francesco Graziadei Oggi si celebra la giornata mondiale della libertà di stampa e anche i media e il loro assetto pluralistico reclamano una riflessione critica, soprattutto alla luce della pur giustificabile “occupazione” mediatica emergenziale da parte del Governo. Se già molto era stato fatto, almeno nella modernizzazione della terminologia usata (le norme ormai non parlano più di "trasmissioni televisive" e di "radiodiffusione" ma, allargando l’orizzonte, di "servizi media audiovisivi ") non così è per la disciplina del pluralismo che riguarda innanzitutto il delicato rapporto tra politica e televisione in senso lato. Nulla di nuovo si dirà. Infatti sarà sufficiente riprendere vecchi disegni di legge, puntualmente proposti dalle minoranze parlamentari del momento, salvo poi a metterle nel cassetto, una volta diventate maggioranza, sedotti dalla convenienza a mantenere il “controllo” della comunicazione pubblica. Come non ricordare ad esempio – anche tributando un omaggio a Giulietto Chiesa, giornalista recentemente scomparso e cronista irriverente delle questioni sociali sovietiche nel mirino della famigerata TASS, l’ex agenzia della stampa di regime - la proposta un po’ movimentista, ma che avrebbe ricevuto i crismi di un disegno di legge parlamentare (presentatrice l’allora senatrice verde Tana De Zulueta, giornalista dell’Economist), dell'istituzione di un consiglio per le comunicazioni audiovisive, espressione anche della società civile, in sostituzione della Commissione di vigilanza Rai. Organismo, la cui composizione si sarebbe arricchita di soggetti espressione di interessi diffusi (enti locali, professionisti, consumatori e utenti, ricerca scientifica, sindacati, autori, imprenditori, terzo settore etc.). La tutela del pluralismo, ed in particolare di quello c.d. “esterno” (cioè la pluralità dei soggetti che operano nel mercato delle comunicazioni) secondo l’attuale Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (TUSMAR), si realizza principalmente, anche se non esclusivamente, attraverso le analisi dei mercati e l'individuazione di posizioni di dominanza economica secondo il diritto della concorrenza. Laddove, anche secondo l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom), l'analisi va spostata sul versante degli utenti/cittadini, dovendo valutare l'impatto sulla formazione delle opinioni e del consenso dei vecchi e nuovi media e l'individuazione di "mercati" rilevanti ai fini del pluralismo. Abbandonando dunque la logica della mera sostituibilità economica, statica e fallace in termini di libertà informativa, si tratta di porre un'attenzione centrale alla rilevanza dei mezzi ed agli indici quantitativi di diffusione e consumo degli stessi (l'audience appunto). Un cenno anche al fattore ormai collaudato di correzione della carenza di pluralismo esterno: il c.d. pluralismo interno. La chiave su cui riprendere il dossier riformatore, fondato sull’assioma dell' orientamento politico-culturale di un dato mezzo di comunicazione di massa, vale a dire la linea editoriale, potrebbe spingere, specie con riferimento ai mezzi tradizionali, a valutare il maggior ricorso e l'efficacia di strumenti volti all’assegnazione a terzi di spazi editorialmente indipendenti, tanto da ridurre quella che – in un’analisi case by case - si dimostrasse periodicamente come una audience eccessiva rispetto alla linea editoriale proprietaria riferita a tutti gli strumenti in mano ad un unico editore (soppesando il diverso impatto dei diversi mezzi di comunicazione). E per quanto riguarda i nuovi contenuti online (intendendosi con ciò sia le library on demand che il mare magnum dei contenuti informativi circolanti attraverso servizi di ricerca o social networks) diviene centrale definire le garanzie di reperibilità dei contenuti (la c.d. prominence) determinata dai sistemi di selezione di contenuti o Apps che (anche in realtà quando automatizzati) possono lasciare spazi di arbitrarietà. Si pensi anche - ma non solo - al cambio di prospettiva dato da una selezione dei contenuti per profilazione, foriera del cosiddetto fenomeno delle filter bubbles, che propongono agli utenti-cittadini contenuti sempre più in linea con i loro gusti e le loro opinioni, e che costituiscono negazione radicale di un principio di formazione dialettica delle opinioni e del consenso alla base del concetto di pluralismo. In definitiva si tratta, da un lato di rifinire gli strumenti di intervento sull'assetto pluralistico dei media tradizionali, inclusa l'emittenza pubblica (secondo le criticità evidenziate); dall'altro - ed in generale - di riallineare il mondo dell'informazione, diviso tra il settore iper-regolato dei media tradizionali e quello online, affidato ad un intervento ancora incerto, da consolidare e rimesso perciò in gran parte a forme di autoregolazione ed autolimitazione definite e rese operative dai soggetti stessi, come mostrano gli interventi in tema di disinformazione online e fake news.Infine, occorrerebbe riflettere sull'uso e l'accesso alle nuove tecnologie distributive dei contenuti: le reti a banda larga e ultralarga che, così come nel broadcasting tradizionale, possono essere o diventare delle risorse scarse. Per dirla in termini semplici: Youtube o Netflix potrebbero fare la parte del leone mentre altri contenuti essere "rallentati" , creando sulle reti delle corsie preferenziali. Sono gli aspetti centrali del dibattito e della regolazione soprattutto europea sulla c.d. Network Neutrality, che tanto hanno infuocato gli animi negli USA, dove dall'Open Internet Order di obamiana memoria si è passati all’attuale Restoring Internet Freedom dell'era Trump, che ha abolito ogni garanzia rispetto all'uguaglianza di trattamento di tutti i contenuti: la "Freedom" in questione è in realtà quella dei fornitori di accesso a internet di farsi pagare dai content providers per offrire loro corsie preferenziali. In questo caso - come detto – in Europa e in Italia le norme ci sarebbero già, sebbene frutto di un compromesso ed in parte sottovalutate, ma la loro operatività può avere un impatto decisivo. Tanto che c'è un gran dibattito su come "gestire" quelle norme in questo periodo di sovraffollamento delle reti a causa dell'emergenza Covid-19.Sono, insomma, tutti spunti da mettere a punto nel corso del dibattito parlamentare per il dopo Coronavirus, un punto di (ri)partenza per una riflessione più moderna sui media e sul loro assetto pluralistico. Alberto Gambino, professore ordinario di diritto privato e prorettore dell’Università Europea di Roma, Avvocato CassazionistaFrancesco Graziadei, docente di diritto industriale e delle comunicazioni e Innovation law and regulation, della Luiss, Avvocato Cassazionista