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Si può parlare di separazione delle carriere? Da un po’ di tempo sì. E lo si deve all’Unione Camere penali. Alla serietà con cui ha condotto la propria campagna. Prima nei dibattiti e in tutte le possibili occasioni di confronto. Quindi nel corso della raccolta firme condotta due anni fa sulla legge d’iniziativa popolare ora all’esame del Parlamento. E ancora adesso con le considerazioni espresse proprio alla Camera, per spiegare le ragioni della proposta di legge costituzionale alle commissioni impegnate sul provvedimento.
Tre giorni fa è toccato, oltre che al presidente del Cnf Andrea Mascherin, a Beniamino Migliucci. Fino all’ottobre scorso presidente dell’Unione Camere penali, mercoledì interpellato dalla commissione Affari costituzionali in qualità di presidente del Comitato promotore costituito dalla stessa Ucpi sulla proposta di legge. Migliucci si è permesso di introdurre la sua relazione con un richiamo impegnativo: e cioè con l’intervista rilasciata da Giovanni Falcone a Repubblica nell’ottobre del 1991. Un unicum. Non perché il giudice ucciso dalla mafia non avesse mai affrontato la questione delle carriere di giudici e pm: proprio Migliucci ha citato in audizione un altro scritto meno conosciuto in cui il magistrato esprimeva lo stesse valutazioni, “La lotta alla criminalità organizzata e il nuovo modello processuale”. Il dato irripetibile è che Falcone è tra i pochissimi magistrati ad essersi espressi per la “separazione”. A suo giudizio, il «nuovo processo», basato sul «sistema accusatorio», richiedeva che il pm non avesse «alcun tipo di parentela col giudice», e che non fosse una specie di «para giudice». Già per Falcone, il modello accusatorio era contraddetto dal fatto che «avendo formazione e carriere unificate con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e pm» fossero «in realtà indistinguibili gli uni dagli altri». Fino all’amara conclusione: «Chi come me ritiene invece che siano due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso porre il pm sotto il controllo dell’esecutivo». Il giudice ucciso a Capaci rimase isolato anche in questa sua valutazione, come quando il Csm gli preferì Antonino Meli alla guida dell’ufficio Istruzione di Palermo, e come avvenne in tante occasioni in cui altri magistrati marcarono apertamente la distanza da lui. Insegna qualcosa questa diversità rappresentata da Falcone anche sul tema delle carriere? Sì: ci dice che per avere uno sguardo non iconoclasta sull’idea di separare giudici e pm, Csm dei magistrati giudicanti da quello dei requirenti, per accettare questa specie di rivoluzione copernicana si deve per forza essere anticonformisti. E se è così, viene per forza il sospetto che il no indiscriminato della magistratura - almeno di quella associata e rappresentata nell’autogoverno - alla proposta di riforma delle Camere penali sia un no “coattivo”. Nel senso che anche tale chiusura, tale contrarietà assoluta, rifletta l’angoscia di sentirsi minoranza. Corrisponda cioè al timore di trovarsi esposti con la platea della magistratura, con l’elettorato che fra un anno sarà chiamato a eleggere i nuovi componenti dell’Anm. Nessuna corrente vuol correre il rischio di trovarsi superata a sinistra dalle altre.
Il senso del paradosso è nella sua quasi perfetta sovrapponibilità a certe preoccupazioni dei partiti in materia di politica giudiziaria. Anche le forze parlamentari - quelle dell’attuale maggioranza ma non solo - sembrano spesso esitare di fonte a opzioni almeno un po’ garantiste, persino quando, almeno in via riservata, lasciano trapelare di condividerle. Anche i partiti temono di essere superati a sinistra dalla piazza. Dalla grande onda giustizialista. E giocano in difesa come le correnti dell’Anm: scelgono il giustizialismo per cautelarsi. Una resa della politica di fronte al vento che soffia.
Falcone non lo ha mai fatto e ha pagato con la vita. Non si chiede questo, né al legislatore in campo penale né all’Anm sulla separazione delle carriere. Ma almeno, Migliucci e quelli che con lui hanno promosso questa riforma si aspettano un approccio liberale, così come liberale dovrebbe essere l’idea di giustizia nel nostro ordinamento. Quel timore, raccontato anche da Falcone, di un pm pericoloso perché rafforzato dalla sua separazione, e magari incorporato dal potere esecutivo, potrebbe essere superato se si desse un po’ più di ascolto ai penalisti. A quanto detto da Migliucci in audizione: e cioè che già ora, a carriere unificate, le Procure hanno assunto un peso predominante rispetto al giudice, ormai parte debole del processo. Con le carriere separate sarebbe casomai la magistratura giudicante a ritrovare forza. Basterebbe riconoscerlo per non dare l’impressione che, di fronte a una possibile rivoluzione copernicana, si voglia rifare la santa inquisizione.