PHOTO
È legittimo discutere le sentenze, ci mancherebbe, in Italia non facciamo altro. Soprattutto quando sono di assoluzione; e qui potrebbe far comodo la rilettura del “paradigma vittimario”di Ricoeur, De Luna e per ultimo Sgubbi, ma forse arriveremmo troppo lontano. Rimaniamo sul punto: sulla sentenza della Consulta e il parere di inammissibilità del referendum sull’eutanasia. Bene, abbiamo due modi di reagire di fronte a questa decisione. La prima: inveire, come fanno molti - alcuni a denti stretti altri invece a gran voce -, contro i giudici della Corte Costituzionale, ma a occhio e croce è come prendersela contro le divinità o “colui che tutto move” quando le cose non vanno come vorremmo. La Consulta si è limitata a verificare l'ammissibilità di un quesito, senza paraocchi e guidata non da un cardinale di Santa Romana Chiesa ma da un “devoto al laicismo” come Giuliano Amato. Ma c’è un altro modo di commentare quella sentenza: ovvero cercare di capire come si sia arrivati a quella bocciatura. Forse si è sbagliato qualcosa nel percorso o nella costruzione del quesito. E qui costituzionalisti e giuristi ci aiuteranno di certo a capire meglio, anche se sarebbe stato più utile che si fossero fatti vivi prima. Ma se è vero che la caccia al colpevole non solo è ingenerosa ma è del tutto inutile, dobbiamo comunque capire la genesi e le conseguenze di questa bocciatura. A cominciare dal mancato effetto traino che l’eutanasia avrebbe di certo avuto sui referendum ammessi oggi. Ora, non vorremmo mai e poi trascinare i promotori all'analisi della sconfitta modello Congresso del Partito comunista italiano, ma qualche domanda, dopo aver inveito contro gli incolpevoli Ermellini, dovrebbero pur farsela. Anche perché l'analisi delle ragioni di questa sconfitta ci portano dritti dritti alle sue conseguenze politiche. E la conseguenza più logica e lampante è che ora la legge sull’eutanasia è più lontana. Ed è un peccato perché sull’eutanasia c’è uno iato profondo tra Parlamento e società civile. Migliaia di cittadini conoscono bene il dolore del “dovere di vivere”. C’è chi lo vive sulla propria pelle e chi lo vive assistendo un figlio, una madre, un padre, un compagno, tenuti in vita solo grazie ai prodigi della medicina. Prodigi inimmaginabili fino a qualche decennio fa. Ma ora quello stesso Parlamento che ha chiuso gli occhi di fronte a quel dolore e a quella richiesta d'aiuto, ha una ragione in più per voltarsi dall’altra parte. E allora, se è legittimo discutere e criticare le sentenze, anche quelle della Consulta, d'altra parte è un dovere capire come si sia arrivati a questo disastro politico e umano.