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Tutte le volte che ho a che fare con un paziente o una paziente che ha due figli in tenera età, sono assalito dal ricordo della nostra esperienza di genitori dei nostri primi due figli, Nicola e Giacomo, che` hanno quattro anni di differenza l’uno dall’altro.
Sulle prime i ricordi sono solari e colmi di vita anche perché rimandano di mia moglie e di me stesso una immagine di giovinezza, entusiasmo e vitalità, per non parlare dei nostri figli, bellissimi e adorabili. Ma mi torna in mente anche il tour de force che allevare due figli piccoli richiede soprattutto per chi vive a Roma e non ha l’ausilio di nonni che abitano in altre regioni d’Italia. Vedo subito la differenza con il nostro nipotino Lorenzo che dispone dei nonni materni e di mia moglie per il ritorno a casa dall’asilo e anche per eventuali impegni di lavoro concomitanti dei suoi genitori.
Il fatto è che i bambini non possono stare tranquilli ed hanno tutta una serie di impegni per tutte le attività extrascolastiche che costellano la loro settimana. E così c’era canto alla Accademia Filarmonica di monsignor Pablo Colino a via Flaminia, gli accompagnamenti in piscina alla Mallia, la scuola calcio a Valle Aurelia, le lezioni di pianoforte da Antonio Vignera.
Come si vede “non sapevamo a chi dare i resti”, come si dice a Roma dal momento che ogni attività era di due eventi la settimana e, per il calcio, si aggiungeva l’immancabile partita della domenica, un vero inferno.
Ricordo un paio di volte che dimenticai di riprendere dalla scuola elementare mio figlio Nicola. Quando me ne ricordai mi precipitai con il mio motorino, ma era già passata un’ora abbondante dalla fine delle lezioni. Nicola, sconsolato, diceva al bidello, che curiosamente chiamava “vidello”: «Eh purtroppo con il mio papà non si piglia un pesce!».
A dire la verità la complessità di una serie di corvée basate su accompagnamenti infiniti dura fino a che i figli non diventano autonomi e cominciano a spostarsi da soli con i mezzi pubblici, ma anche così è un gran trambusto giacché allora comincia la felice epoca delle feste con i compagni di classe e, quindi, è sempre molto complicato arrivare alla fine della giornata.
Con tre figli tutto diventa più facile soprattutto perché i grandi si fanno più autonomi, ma anche perché si va verso una radicale semplificazione: ad esempio l’insegnante di musica viene a casa e si può affittare un pianoforte e poi molte cose, con palese sollievo dei figli, non si possono più fare.
Un fattore fondamentale consiste nella fortuna; intendo dire nella fortuna di avere figli assennati e felicemente attenti alle loro fondamentali esigenze.
Ad esempio quando nostro figlio Giacomo frequentò la piscina Mallia per un paio di anni si segnalò per la precoce acquaticità e per la velocità con cui apprese i quattro stili.
Morale, il maestro di nuoto ci informò con il tono di chi sta conferendo una importante onorificenza, che si era deciso di ammetterlo alla “pre- agonistica”.
Mi si rizzarono i capelli sulla testa: Giorgia, una compagna di Nicola, nostro figlio maggiore, era dall’inizio delle elementari impegnata in allenamenti e gare continue e, di fatto, non faceva altro oltre che frequentare la scuola. Giacomo, senza che dicessimo nulla, continuò per quell’anno a frequentare la piscina, ma ben presto decise di lasciare perdere con enorme nostro sollievo. Qualche anno prima Nicola ci chiese di essere iscritto alla Scuola Calcio Giacomo Losi di Valle Aurelia, dove, peraltro, andavano quasi tutti i suoi compagni di classe.
Sulle prime le cose sembrarono andare bene, anche se mia moglie ed io tremavamo al pensiero di quando sarebbe iniziato il mini- campionato con le immancabili partite ( e relative trasferte della domenica).
Dopo un paio di settimane Nicola tornò dall’allenamento con una comunicazione del Mister ( così era chiamato l’allenatore): avremmo dovuto comperare gli scarpini, l’accappatoio e la borsa, il tutto per la modica cifra di 180.000 £. In quell’epoca si trattava, per le nostre economie, di una cifra cospicua e, infatti mia moglie cercò di convincere Nicola di aspettare ancora qualche tempo. Io, al contrario, fui decisissimo: «Comperiamo subito tutto l’occorrente!» esclamai.
La sera, quando rimanemmo soli a letto mia moglie mi chiese: «Ma perché hai voluto comperare subito tutto il kit? E se poi non va più alla scuola calcio?». «Non importa – risposi – l’importante è che Nicola non si senta emarginato e che, pur di acquistare anche lui scarpini ed accappatoio continui a frequentare una scuola che non gli piace». Seguì un mese di apparente tranquillità. Notavo, tuttavia, che Nicola, durante gli allenamenti e le prime partite alle quali partecipava cercava di evitare i contrasti più duri, soprattutto quelli che suscitavano i violenti commenti degli altri genitori presenti ai bordi del campo. Le cose più miti erano: «Spezzagli le gambe!... Buttalo per terra!... Fallo nero!». E così via Una sera Nicola tornò mogio mogio dal suo ultimo allenamento e ci disse: «Io alla scuola calcio non ci voglio più andare!». «Non importa - gli dissi - troverai un altro sport che ti piace e poi a pallone potrai sempre giocare con i tuoi amici». A parte, rivolgendomi a mia moglie, dissi in un soffio che solo lei poteva percepire: «Soldi benedetti!».