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La parola fine - o almeno così speriamo - al surreale dibattito sull’ergastolo ostativo l'ha messa Valerio Onida sul Corriere delle Sera di ieri. Onida elenca e spiega tre cose che dovrebbero convincere anche i più scettici. La prima: la pena dell'ergastolo è di per sé incostituzionale perché “esclude la possibilità di porre fine alla detenzione” e nega il “diritto alla speranza”; la seconda: subordinando la “liberazione dall’ergastolo” alla collaborazione con la giustizia viene tolta di fatto la possibilità della “libera scelta”; la terza: supporre che i vincoli con le mafie siano perpetui - spiega Onida - “contraddice la natura e la dignità dell'essere umano”. Peraltro, tanto per complicare le cose, il Domani ha introdotto una nuova forma di dissociazione: “la dissociazione morbida” (sic). Una trovata dei boss - o forse dei giornalisti - per evitare il carcere facendo finta di dissociarsi dal clan. Chi poi debba valutare se la dissociazione sia morbida o dura non è dato sapere, forse i giornalisti stessi. Insomma, come vedete il dibattito ha preso una piega surreale. Ma le contorsioni giuridiche messe in scena dall’ala dura del no all’eliminazione del carcere ostativo, in fondo in fondo hanno una sola ragione: lor signori pensano che non tutte le persone hanno uguali diritti. Certo, non lo ammetteranno mai, ma è chiaro che alla base di quella posizione vi è l’idea che per alcuni cittadini - boss e mafiosi vari - i diritti costituzionali valgono, sì, ma fino a un certo punto. Qualcuno di loro chiede, senza ammetterlo esplicitamente, una sorta di “pena di morte sociale” cercando vanamente di rimanere dentro i limiti della nostra Costituzione. Ma - come ricorda Onida - “se si crede nell'essere umano, nella sua libertà e nella sua dignità, non si può ammettere né la pena di morte, né una pena senza fine come l'ergastolo ostativo”.