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Trent’anni fa moriva Enzo Tortora. Il 18 maggio del 1988. Era un grande giornalista, conservatore e liberale. Aveva subìto una persecuzione giudiziaria feroce e assolutamente irragionevole. Tortora è stato il testimone di come la giustizia possa esercitare il suo enorme potere in modo malvagio e in spregio del diritto. Assecondata e applaudita dal giornalismo.
Fu arrestato all’alba del 17 giugno del 1983, a Roma, trascinato in manette in una caserma dei carabinieri e poi, in manette, mostrato ai giornalisti e ai fotografi e infine, a sera, chiuso in cella per sette mesi. Più molti altri mesi di arresti domiciliari. Era accusato di essere un camorrista, uno spacciatore di droga e un mercante di morte. Era del tutto, del tutto, del tutto innocente. Enzo Tortora chi? Trent’anni dopo il gioco a far finta di niente
Qualche giorno dopo il suo arresto Camilla Cederna, giornalista ultra- liberal, di sinistra, indipendente, spregiudicata, cronista di inchiesta e di prima linea, prestigiosissima, scrisse: « Mi pare che ci siano gli elementi per trovarlo colpevole: non si va ad ammanettare uno del cuore della notte se non ci sono buone ragioni. Il personaggio non mi è mai piaciuto». C’è tutto in questa breve frase. C’è il cuore del colpevolismo cieco (” se lo hanno arrestato vuol dire che qualcosa l’ha fatta”: pare che sia la stessa frase che fu ripetuta migliaia di volte in Argentina, dopo il golpe di Videla e gli arresti di massa degli oppositori). C’è l’idea che l’accusa è essa stessa dimostrazione della colpa. C’è l’infallibilità dei giudici. C’è l’antipatia personale come prova a carico. C’è il principio dell’intoccabilità rovesciata, e cioè la convinzione che il prestigio personale, o la fama, o il potere di una persona, presunta intoccabile, siano in realtà evidenze certe di reato.
Tortora era innocentissimo ma l’intera stampa italiana si schierò contro di lui e lo riempì di fango, tranne pochissime eccezioni: Biagi, Montanelli. E l’intera magistratura diede totale copertura prima al giudice istruttore che lo aveva fatto incarcerare senza prove e senza indizi, e poi ai pubblici ministeri che - senza prove e senza indizi - lo fecero condannare a 10 anni di carcere.
La magistratura poi si riscattò, con la sentenza di appello, che fu di piena assoluzione e di furiosa e appassionata condanna del lavoro sciatto e indegno svolto dai magistrati che lo avevano condannato. Tortora fu condannato sulla semplice testimonianza di alcuni pentiti, del tutto inaffidabili, e teleguidati - che ottennero in cambio sconti di pena - senza la possibilità del minimo riscontro. In appello gli indizi e le testimonianze furono smontati uno ad uno, in modo inconfutabile, ma erano stati già smontati nel primo grado e in istruttoria, però i giudici del primo grado e dell’istruttoria se ne erano infischiati delle prove a difesa.
La magistratura si riscattò con la sentenza d’appello. Il giornalismo non si riscattò mai.
Anche la politica ebbe in gran parte un atteggiamento infame sul caso Tortora. Più o meno tutto il mondo politico, eccetto, naturalmente, i radicali ( che si batterono al suo fianco in modo eroico, subissati dalle critiche e dagli scherni), e i socialisti.
E’ stato il caso più famoso di errore giudiziario. Voluto, cercato, difeso con arroganza dal potere. Il più famoso: non l’unico, tranquilli, non l’unico.
Dal caso Tortora nacque il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, vinto dai radicali, ma poi smantellato dal governo. E dal caso Tortora nacquero le prime battaglie garantiste, che piano piano ottennero dei risultati: gracili, sparuti, ma non inesistenti.
Oggi il trentesimo anniversario della morte di Tortora, ucciso da un cancro che aveva maturato in carcere, coincide con la presentazione del programma del nuovo governo. E in questo programma ci sono delle proposte di riforma della macchina giudiziaria che fanno tremare le vene e i polsi. Più intercettazioni ( oggi siamo il paese con più intercettazioni al mondo, ne abbiamo cento volte cento - più della Gran Bretagna), riduzione o cancellazione della prescrizione, aumento delle pene per i reati contro il patrimonio e per la corruzione, fine delle conquiste di politica carceraria ottenute dagli anni ottanta ( riforma Gozzini) in poi dalle forze democratiche, introduzione degli agenti provocatori che si affiancherebbero ai pentiti in una logica vicinissima a quella che guidò i Pm del caso Tortora ( i quali Pm, salvo uno, non hanno mai chiesto scusa). E’ molto triste questa coincidenza. È anche molto preoccupante. Per fortuna un programma di governo non è legge. Va portato in Parlamento, va discusso, deve superare il vaglio della Corte Costituzionale. Esistono in Parlamento le forze liberali in grado di opporsi a questa svolta di ispirazione autoritaria, che non ha precedenti nella storia della Repubblica? Avranno, queste forze, la capacità e il coraggio per battersi e per fermare questa svolta?
Dipenderà anche dai giornali, dalle Tv. Dall’atteggiamento che assumeranno nei confronti del programma di governo. A leggere i giornali di questi giorni si ha l’impressione che l’intellettualità italiana, e il giornalismo, non siano molto preoccupati per il futuro della giustizia. Li indigna, forse giustamente, l’organo di garanzia previsto dal “contratto” e probabilmente incostituzionale, ma nessuno è indignato, o colpito, anzi nessuno si occupa, della proposta di mettere in prigione i bambini. E questo non è di buon auspicio. Possibile che il giornalismo italiano sia rimasto quello delle frasi tremende di Camilla Cederna?