PHOTO
DOMENICO ALESSANDRO DE ROSSI ARCHITETTO
«Il lavoro che attende Marco Doglio, il neo Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, è un lavoro da far tremare i polsi. Ma si tratta di un professionista molto preparato, con una solida esperienza universitaria in pianificazione territoriale e trasportistica, e una esperienza manageriale nel settore immobiliare di tutto rispetto anche per quanto riguarda gli aspetti contrattuali». L’architetto Domenico Alessandro de Rossi, architetto e presidente del Cesp (Centro Europeo Studi Penitenziari), ne parla con cognizione di causa interessandosi di carceri e di edilizia penitenziaria da sempre. La prossima settimana uscirà il suo ultimo libro “Quando la pietra scolpisce la mente. Neuroscienze e Semiotica dell'architettura delle comunità confinate”, scritto insieme allo psicoterapeuta Alfredo De Risio.
Architetto de Rossi, c’era bisogno di un Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria?
Direi proprio di sì. Serve nella misura in cui riuscirà a fare un’operazione sistemica di grande sintesi dei tanti problemi dell’universo penitenziario, che ha competenze differenziate. Parliamo di edilizia, di infrastrutture, di territorio, di giurisdizione, di amministrazione, di polizia penitenziaria. Si tratta di un lavoro che, non essendo stato affrontato in maniera sistemica, negli ultimi 20-25 anni ora presenta tutte le sue criticità. Non si può dire che solo oggi esiste il problema dei suicidi, succedeva anche negli anni scorsi, seppur con numeri diversi. Oggi purtroppo la situazione si è cronicizzata. Perché non si è intervenuto prima?
L’ex ministro della Giustizia Orlando organizzò gli Stati generali della giustizia penale, con 18 tavoli tematici.
Purtroppo tutto quel lavoro non ebbe una realizzazione concreta, senza contare che si parlava spesso dei massimi sistemi quando, invece, i problemi erano molto più concreti: polizia penitenziaria, burocrazia, sostegno ai detenuti.
Il Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria ha avuto un incarico fino al 31 dicembre 2025 e dovrà provvedere alla realizzazione delle opere necessarie per far fronte alla grave situazione di sovraffollamento degli istituti penitenziari. E poi?
Le somme e i cinque tecnici messi a disposizione non penso che siano sufficienti per affrontare in maniera sistemica il suo compito. Sicuramente potrà dare una organizzazione agli indirizzi per pianificare il lavoro futuro. La competenza e l’esperienza sono dalla sua parte.
L’obiettivo sarà quello di costruire nuovi padiglioni e di ristrutturare le strutture esistenti. O si penserà di costruire nuove carceri?
Mi sentirei di escludere che si vogliano costruire nuove carceri per risolvere le criticità immediate. Per realizzare un istituto penitenziario occorrono circa 20 anni. Ma se potessi consigliare una soluzione punterei su altro.
Ce lo può spiegare?
Punterei sullo svuotamento delle carceri di circa il 30%, perché ci sono persone che possono e devono essere messe in strutture diverse. Mi riferisco ai detenuti tossicodipendenti che potrebbero essere accolte da strutture esterne, in grado di curarle. Una operazione del genere farebbe scendere il numero dei detenuti al di sotto dei posti disponibili, con un costo minore per la collettività e con una attenzione al diritto alla salute previsto dalla nostra Costituzione. Senza considerare la diminuzione evidente della recidiva. Spesso le proteste che scoppiano in carcere non sono fatte per evadere, ma per provare a essere ricoverati in infermeria e avere il metadone.
Come potrà intervenire il Commissario Doglio per ridurre anche le proteste?
Va fatto un lavoro sull’impiantistica antincendio. Attualmente le carceri italiane sono sprovviste di apparecchiature. Eppure basterebbero gli impianti sprinkler, i sistemi di allarme antincendio, gli estintori e l’utilizzo di materassi e altri arredi ignifughi. Ci sono una serie di accorgimenti tecnologici molto semplici ed economici che eviterebbero una parte degli incidenti che avvengono nelle celle. Se si riesce a ridurre anche la popolazione carceraria si saranno fatti già dei passi in avanti. Insomma farei degli interventi pratici e molto semplici. Lungi da me l’idea, nonostante la mia professione, di parlare di architettura penitenziaria.
Perché ha questa posizione così radicale?
Non è il momento. Parlerei, invece, di strutture esterne dove poter ospitare una parte di quel 30% di detenuti tossicodipendenti, che con i dati attuali significano circa 18mila persone. Io collaboro a Roma con “Villa Maraini” Croce Rossa Italiana, con il Cesp abbiamo un protocollo di collaborazione che va proprio in questa direzione.
Che caratteristiche dovrebbero avere queste strutture di accoglienza?
Dovrebbero essere diverse dal carcere, con una assistenza psicoterapeutica e delle forme di convivenza. Non dovrebbero esistere le cancellate, altrimenti queste persone da curare non avvertirebbero la differenza con il carcere. In questo modo l’investimento comincia a diventare più semplice in termini di realizzazione, perché nel giro di due anni si riuscirebbero a costruire.
Qualche anno fa si era parlato anche del recupero delle ex caserme da riconvertire in carceri. Un’idea accantonata?
Non tutte le caserme sono adatte alla trasformazione in istituti per la detenzione: parliamo di dormitori per i quali sarebbe complicato garantire sia la sicurezza sia per poter scontare pene lunghe.
I nuovi padiglioni nelle carceri, già appaltati, sono una soluzione?
In realtà tutti gli istituti hanno bisogno, non di nuove celle, ma di altro genere di assistenza per mettere in condizione i detenuti, una volta fuori, di non commettere altri reati. La recidiva, cioè, si combatte con aule, laboratori e spazi di socializzazione.
Ieri si è anche insediato al Cnel il Segretariato permanente per l’inclusione economica, sociale e lavorativa delle persone private della libertà personale, presieduto da Emilio Minunzio, che va in questa direzione.
È un passo importante per realizzare un collegamento tra il sistema penitenziario e il sistema produttivo esterno, creando un sistema strutturato.
La sentenza della Corte costituzionale sul diritto all'affettività in carcere apre un altro capitolo su come ripensare le carceri.
Senza dubbio. Rientra nel discorso degli spazi da realizzare al di fuori delle celle.
Il sovraffollamento che affligge quasi tutte le nostre carceri ha dei picchi preoccupanti: San Vittore, ma anche Regina Coeli e Poggioreale.
Parliamo di strutture con un centinaio di anni e in alcuni casi di più. Il Commissario potrebbe pensare anche alla realizzazione di strutture più piccole e con tempi di realizzazione più veloci. Nel mio ultimo libro analizzo il rapporto tra ambiente e comportamento umano e per le carceri la detenzione va modulata rispetto alla condotta. Questo potrebbe significare che se si facessero degli istituti, più gestibili e integrati con famiglia e territorio, si potrebbero realizzare in tempi più brevi. Vedremo.