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È apprezzabile quanto meno la schiettezza con la quale la presidente grillina della Commissione Giustizia della Camera, Francesca Businarolo, ha voluto difendere e spiegare il controverso provvedimento sulle intercettazioni. Il cui cammino parlamentare, sino a qualche settimana fa di incerto epilogo per le forti resistenze dell’opposizione e le divisioni createsi nella maggiorana giallorossa, è stato in qualche modo sbloccato anch’esso, come quello delle cosiddette mille proroghe, dal mezzo disarmo politico provocato dalla diffusione della forma di polmonite importata dalla Cina.
In particolare, l’onorevole Businarolo, quasi con voce dal sen fuggita, ha spiegato ai lettori del Dubbio che l’equiparazione dei reati contro la pubblica amministrazione a quelli di mafia e di terrorismo, con la conseguente applicazione dell’assai invasivo metodo Trojan nelle intercettazioni, deriva dalla specialità dell’Italia. Che non è per niente un paese “normale” per la diffusione che ha nei suoi confini il fenomeno della corruzione, reale o percepito che sia. Questa almeno è l’opinione fattasi dell’Italia dai grillini, che in forza dei voti, dei seggi parlamentari e delle alleanze politiche realizzate in meno di due anni di questa legislatura uscita dalle urne del 4 marzo 2018, sono riusciti ad imporla sul piano legislativo. E ciò, peraltro, nel momento non della loro maggiore forza ma della loro maggiore debolezza, vista la crisi interna al loro movimento, guidato da un reggente - Vito Crimi- dopo le dimissioni di Luigi Di Maio da capo.
Della crisi del Movimento 5 Stelle sono espressioni di una evidenza disarmante anche il defilamento del fondatore, garante, “elevato” e quant’altro Beppe Grillo, preso dalle sue dichiarate apnee notturne; il rinvio a tempo sostanzialmente indeterminato dei cosiddetti Stati Generali, indetti originariamente ai fini di un chiarimento per metà marzo; le sconfitta accumulate in tutte le elezioni, di vario livello, seguite a quelle del 2018 e infine quel misero, anzi miserrimo 9,52 per cento di affluenza alle urne cui hanno concorso domenica scorsa nelle elezioni suppletive a Napoli per la sostituzione di un loro senatore defunto. Il cui seggio è andato alla fine al terrestre, diciamo così, Sandro Ruotolo col 48 per cento di quel 9,52 di votanti contro il 23,3, sempre di quel 9,52, del candidato a 5 stelle Luigi Napolitano.
Secondo un sondaggio Swg ancora fresco di stampa quel che resta della militanza e dell’elettorato grillino pone le sue maggiori speranze, per cercare di uscire dalla crisi d’identità e di ogni altro tipo sopraggiunta alla vittoria elettorale di due anni fa, in Alessandro Di Battista. Che anche per questo forse sta tornando dall’Iran, dove si era avventurato per vacanza e studio, in groppa al 36 per cento delle simpatie attribuitegli, fra i grillini, contro il 26 per cento dell’ex capo ma pur sempre ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Agli altri restano le briciole: il 9 per cento al pur presidente della Camera Roberto Fico, contestato nella sua Napoli quando ha proposto come strategico il rapporto col Pd, il 6 per cento alla vice presidente del Senato Paola Taverna, che non nasconde di certo la sua ambizione o “disponibilità” a scalare il movimento, il 5 per cento alla sindaca di Torino Chiara Appendino e l’ 1 per cento appena al reggente Crimi.
Di Battista, Dibba per gli amici, non la pensa di certo diversamente dall’onorevole Businarolo sulla specialità, diciamo così, dell’Italia. Che, non essendo un paese “normale”, meriterebbe leggi e trattamenti speciali non per diventare finalmente normale, evidentemente, ma per diventarlo sempre meno, in un inseguimento del paradosso che fa drizzare i capelli, almeno a chi li ha.
La normalità targata 5 Stelle è quella delle leggi penali retroattive, e delle proteste contro la Corte Costituzionale quando si permette di censurarle. E’ quella della prescrizione bloccata, cioè eliminata, con l’epilogo del primo dei tre gradi di giudizio, in modo che per gli altri due i processi possono durare quanto l’ergastolo. E’ quella dei diritti acquisiti bollati per principio come privilegi da ghigliottinare, magari in attesa di riservare la stessa sorte alle persone che ne hanno potuto beneficiare, in una riedizione della Rivoluzione francese del 1789, con gli spettacoli del patibolo in piazza. E’ quella degli organi giurisdizionali, come quelli per la cosiddetta autodichia parlamentare, validi solo se emettono verdetti di un certo tipo, gradito alle 5 Stelle. Altrimenti diventano organi odiosi di casta, da abolire o ricomporre daccapo facendo dimettere chi ne fa parte, com’è accaduto praticamente al Senato per la commissione chiamata a pronunciarsi sulla riduzione dei cosiddetti vitalizi, anche a novantenni con un piede già nella fossa e l’altro già senza scarpa. Mi chiedo, a questo punto, se non ha ragione Andrea Marcenaro a scrivere sul Foglio, nella sua rubrichetta di prima pagina che ne porta un pò il nome, se “questo nostro trojan di Paese”, per niente normale come dice la Businarolo, non sia “in quarantena minimo dal 1992”, col bambino buttato da certa magistratura insieme con l’acqua sporca.