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Il professore Pejmam Abdolmohammadi
Le elezioni presidenziali in Iran confermeranno una linea politica già nota da tempo: pugno di ferro nei confronti di chi vuole difendere i diritti civili e sostegno agli alleati storici, a partire dalla Russia. «Le elezioni serviranno a suggerire – dice al Dubbio Pejmam Abdolmohammadi, professore di Relazioni internazionali nell’Università di Trento – una figura di fiducia in grado di gestire per i prossimi mesi nella Repubblica Islamica la transizione eventuale della Guida suprema, nel caso in cui dovesse venire a mancare».
Professor Abdolmohammadi, in Iran si svolgeranno vere elezioni presidenziali?
Si tratta di una formalità con sei candidati di cui due ultimamente ritiratisi dalla competizione elettorale. I candidati tuttora in corsa possiamo definirli “filo- élite” della Repubblica Islamica. Sono, infatti, tutti vicinissimi alla Guida Suprema e tra loro mostrano poche differenze. Sono stati preselezionati con un criterio ancora più stringente rispetto alle elezioni precedenti. Assisteremo ad elezioni che serviranno soltanto a sostituire Ebrahim Raisi, venuto a mancare lo scorso mese di maggio. Il nuovo presidente dell’Iran sarà scelto del deep State dell’Iran.
Il successore di Raisi, dunque, si muoverà seguendo la stessa strada?
Assolutamente sì. Sarà curioso però vedere cosa verrà suggerito dall’alleanza tra la Guida Suprema e una parte dei pasdaran. In base a questo tipo di alleanza riusciremo a capire che tipo di impostazione avrà la nuova presidenza, ma sicuramente si muoverà sulla scia di Raisi. Se il nuovo presidente sarà Ghalibaf, ci possiamo aspettare una politica improntata al pragmatismo e qualche elemento militare più forte. Se sarà invece il cosiddetto moderato riformista, Massoud Pezeshkian, che comunque è sempre nell'orbita della Guida Suprema, potremmo aspettarci un tentativo di riaprire la questione del nucleare prima del probabile arrivo di Trump alla Casa Bianca. Queste sono alcune piccole differenze che rinvengo tra alcuni candidati.
Nel caso di vittoria di Donald Trump come potrebbero cambiare i rapporti tra Stati Uniti e Iran?
La Repubblica Islamica è spaventata, così come la Cina e il Qatar, di meno la Russia, del possibile arrivo di Trump. Nei Paesi con tendenze autoritarie e a sfondo ideologico, si pensi all'Islam politico e al comunismo cinese, c’è paura dell’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. Lo si è visto già nei quattro anni precedenti della sua amministrazione.
Le riforme sono sempre un miraggio in Iran, così come il rispetto per i diritti umani? Non cambierà niente ancora per molto tempo?
Per molto tempo non lo so. Il nuovo presidente di sicuro non cambierà rotta. Il candidato cosiddetto riformista, Massoud Pezeshkian, ha buttato giù la maschera. Una parte della società iraniana e alcuni in media, ma, soprattutto, le cancellerie europee credono alla favola del riformismo che potrebbe interessare la Repubblica Islamica. In realtà l'elettorato sa che non è così. Per questo l’astensionismo sarà alto, si prevede superiore al 70%. La lontananza dal voto non riguarderà solo i giovani, ma anche le donne. Ormai la società iraniana considera la classe dominante della Repubblica Islamica tutta uguale. La classe politica che si dichiara più riformista e quella conservatrice sono considerate alla stessa maniera.
I rapporti con la Russia e l'influenza dell'Iran in Libano e sulla striscia di Gaza rimarranno invariati dopo queste elezioni?
Non cambierà niente. Tenga conto che i rapporti ai quali fa riferimento lei rientrano nella macro- politica strutturale della Repubblica Islamica al sostegno dei cosiddetti proxy. La linea continuerà ad essere filo- russa, con vicinanza alla Cina e sostegno alla rete di Hezbollah, Hamas e Houthi. È quello che ad alcuni piace chiamare “asse della resistenza”.
Cosa cambierà, invece, per quanto riguarda i rapporti tra Iran, Europa e nuova presidenza dell’UE?
Il cambiamento che sta avvenendo nel Parlamento europeo è il primo elemento verso il quale la Repubblica Islamica dovrà confrontarsi. Dall'esito delle elezioni europee sicuramente possiamo già immaginare una nuova direzione della politica estera europea, soprattutto se a guidarla sarà il primo ministro estone, Kaja Kallas. È una figura liberal- democratica, molto sensibile ai diritti civili e molto diversa da Josep Borrell. Penso che non sarà difficile aprire un nuovo corso ed essere più efficaci rispetto ai due predecessori nella politica estera Ue, Mogherini e Borrell, che, a mio avviso, si sono contraddistinti in negativo.
Perché valuta negativamente il loro operato?
Perché sono stati molto accomodanti nei confronti sia della Repubblica Islamica che del Qatar. Hanno usato una morbidezza che l'Unione Europea non può più permettersi. Noi dobbiamo come europei avere a cuore i valori della libertà, della democrazia e dei diritti umani nella politica estera. Non possiamo chiudere gli occhi rispetto a certe situazioni. Mogherini e Borrell si sono mossi in una certa direzione in Medio Oriente, il loro atteggiamento verso l'Arabia Saudita e la Repubblica Islamica dell'Iran è sotto gli occhi di tutti. Il nuovo Alto rappresentante Ue non può che migliorare la politica estera europea.