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Una finestra sull'abisso E’ un copione già visto e rivisto, dalla Prima Repubblica in poi. «Se volete la crisi ditelo», «siete voi che insultate, così non si va avanti”, «puntate al ribaltone e all’inciucio», «noi mai».
Poi, in questo estenuante gioco del cerino tra chi sa benissimo che rompere significa prendersi la colpa e la responsabilità di gettare il Paese nell’incertezza politica e nella bolgia finanziaria dei mercati, con lo spread che schizza a 500, arriva sempre l’ultimo monito, che prova a metterti spalle al muro: la crisi non può essere extraparlamentare, cioé non si apre con due tweet o qualche battuta ai Tg.
La crisi si discute in Parlamento, alla luce del sole, si dibatte e si vota. E lì, come avverte il premier Conte ( che deve aver fatto un ripasso tra i colli più alti) si certifica chi fa cadere il governo e perché. E’ la classica minaccia di quando ci si trova sull’orlo del baratro: “Dopo la crisi ci sono solo le elezioni”.
Tende ad esorcizzare maggioranze diverse, ribaltoni strani, governi tecnici o balneari. E’ il cerino che brucia il dito.
Anche se poi nulla è detto, perché l’ultima parola spetta al Quirinale che non fa gli interessi né dell’uno né dell’altro contendente, ma solo dell’Italia.
Esiti imprevedibili Nella storia della Repubblica, in un clima così infuocato, il cerino in un attimo diventa un bengala e l’incidente imprevisto e imprevedibile può esplodere in qualsiasi momento. Una frase di troppo, un voto di fiducia boicottato. Basta ricordare che al Senato l’ultima fiducia è passata per un solo voto pochi giorni fa.
L’ombra della crisi in queste ore somiglia ai tornado nerissimi e devastanti che hanno appena sconvolto la costa Adriatica. Si fa finta di temere che l’alleato abbia pronto un ribaltone: i Cinquestelle col Pd, visto che hanno votato assieme in Europa per far eleggere la presidente della Commissione Von der Leyen; o la Lega con la Meloni più un Berlusconi padreprodigo, rieditando il ritorno del centrodestra.
In realtà è il fantomatico patto di governo che è un colabrodo, sulle tasse, sulle autonomie, sulla Tav, su Alitalia, sulle Olimpiadi vinte o mancate, sui rapporti d’affari con la Russia, e presto lo sarà sulla legge di bilancio, sulla correzione dei conti, sull’aumento dell’Iva e quindi sul ritorno dello spread. I ministri leghisti hanno pronti gli scatoloni.
Le elezioni a ottobre sono possibili. Dalla finestra spalancata della crisi si ammira un precipizio, chissà se ne sono consapevoli. Sempre che il can can non si tramuti in un più prosaico rimpasto, al grido di tiremm innanz.