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Draghi
Uno. Ha ragione Berlusconi: se Draghi da palazzo Chigi passa al Quirinale affossa governo e legislatura. È un’ovvietà. La polemica che s’è scatenata su questa valutazione, anche perché il capo di Fi l’ha usata come clava per accreditarsi lui al Quirinale, rivela mancanza di lucidità tra le forze politiche italiane. Draghi al Quirinale significa automaticamente la caduta del governo. Appena eletto Capo dello Stato, come presidente del Consiglio dovrebbe presentare le dimissioni a Draghi presidente della Repubblica che dovrebbe necessariamente accettarle perché il Presidente della Repubblica non può essere anche presidente del Consiglio. Con l’elezione di Draghi al Quirinale il governo cesserebbe di esistere perfino dal punto di vista formale.
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Sul piano politico le cose sono ancora più complicate. Draghi è diventato capo del governo per una proposta, lucida coraggiosa e solitaria, di Mattarella che l’ha incaricato per la formazione del governo senza consultare i partiti in un momento in cui il covid impediva libere elezioni.
Bisogna ricordarle quelle ore drammatiche. I presidenti di Senato e Camera, incaricati da Mattarella di consultare le forze politiche per dar vita a un governo, falliscono. Mattarella, subito dopo aver ricevuto il presidente della Camera, Roberto Fico, in televisione spiega l’impossibilità di votare causa il Covid. Poi si ritira e dopo pochi minuti il segretario del Quirinale avverte paese e giornali che Mattarella ha convocato per il mattino successivo Mario Draghi. Draghi farà un governo di larghissima maggioranza con ministri di partiti tra loro avversari e la sola opposizione, per autonoma scelta, di FdI. Un governo, quindi, retto sullo straordinario prestigio di Mario Draghi. Insomma, se Draghi lascia il governo, il governo non c’è più.
Fin qui Berlusconi ha, quindi, ragione. Via Draghi, via il governo. Ma da qui in avanti il Cav si mette dalla parte del torto. Immaginare che la sua candidatura al Quirinale, se coronata dal successo, non farebbe cadere il governo provocando elezioni anticipate, esattamente come il passaggio di Draghi al Quirinale, è una fantasiosa supposizione. Non soltanto perché Berlusconi, che pure si trova nelle condizioni giuridiche per potersi accasare al Quirinale, è divisivo. Ma soprattutto perché la sua elezione modificherebbe i rapporti di forza a vantaggio del centrodestra.
Di curioso c’è che il Cav utilizza, per indebolire Draghi e sponsorizzare se stesso, argomenti che valgono anche per non votarlo. Il Giornale di casa Berlusconi l’ 11 scorso gli fa dire: «Draghi a molti non piace e tanti non lo voterebbero comunque perché la sua elezione significherebbe elezioni anticipate, voto subito». Ma la valutazione vale ancor di più per lo stesso Berlusconi che dà l’impressione di aver difficoltà a capire che molti di quanti gli assicurano il proprio voto, anche in Fi, non lo voteranno mai perché la sua elezione, come e più di quella di Draghi, porterebbe al voto che, per centinaia di parlamentari, vorrebbe dire anticipare di oltre un anno (la scadenza è marzo 2023) l’abbandono del Parlamento e di tutti i vantaggi che comporta (e pesa perfino che quello attuale sia il Parlamento più giovane della storia: età media alla Camera 44,3 anni, al Senato 52,1).
Due. Stabilito che Draghi o chiunque altro politicamente marcato, da Berlusconi in su o in giù, se promosso al Quirinale provocherebbe il voto, si tratta di capire come uscire dalla trappola in cui il paese s’è ficcato non fosse altro per impedire l’indebolimento che subirebbe l’Italia in Europa per lo spettacolo di lunghe votazioni a vuoto. Insomma, serve un Presidente che non modifichi i rapporti di forza attuali tra gli schieramenti politici come accadrebbe se venisse eletto Berlusconi o un leader del centrosinistra.
Complica la situazione l’infodemia scatenata da televisioni e giornali che accanitamente hanno creato verità quantomeno discutibile. È stato un meccanismo infodemico a far credere al paese che la casella più delicata sia il Quirinale. Invece, l’Italia deve garantire il Presidente del Consiglio impegnato in un’operazione - tra virus, e Pnrr - da cui dipende il risanamento e la ripresa del Paese che senza il successo di quel piano precipiterebbe in una voragine di arretratezze. Insomma, il duo Mattarella- Draghi sarebbe l’ideale. Ma questa soluzione è finita nel tritacarne di verità consolidate sul nulla. Draghi vuole diventare presidente della Repubblica? Non l’ha mai detto. Mattarella è contrario al secondo Mandato? L’ha detto e ripetuto ma non ha mai detto, se non nelle versioni interessate, che lui cada il mondo non si farà rieleggere. Marzio Breda, il più autorevole quirinalista italiano, intervistato da Domani ha affrontato il tema: Mattarella in una situazione straordinaria potrebbe rifiutare la rielezione? Breda ha rivelato di aver posto la questione «in alto» e di aver «raccolto un eloquente silenzio» che secondo lui (e Breda è maestro a interpretare i segnali), significa «che non potrebbe». Ed ha aggiunto che i ripetuti dinieghi di Mattarella hanno avuto anche lo scopo «di dimostrare che lui non sta brigando affatto per una riconferma».