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Non posso fare a meno di stupirmi e provare profondo disagio per lo scarso rispetto istituzionale e l’incultura del “Capitano” Matteo Salvini, che pure ha ricoperto sino a pochi mesi orsono la non secondaria carica di vicepremier e ministro dell’Interno ed è attualmente senatore della Repubblica. E’ di questi giorni il frenetico e surreale balletto sull’autorizzazione a procedere per il reato di sequestro di persona in danno degli immigranti a bordo della nave Gregoretti, di cui sarebbe competente il Tribunale dei ministri.
Salvini prima ha dichiarato – come era prevedibile e ragionevole - di opporsi alla richiesta, e in tal senso ha dato istruzioni ai senatori della Lega; poi ha mutato parere e gli stessi parlamentari hanno espresso il voto decisivo a favore dell’autorizzazione. Non c’è voluto molto a capire che queste apparentemente stravaganti manovre non avevano nulla a che vedere con la giustizia, ma erano dettate da valutazioni elettorali in vista della ormai prossima consultazione regionale in Emilia- Romagna.
Se, cioè, ai fini elettorali fosse più conveniente presentarsi senza il peso di quel reato, ovvero in qualità di “martire” costretto a subire un giudizio penale per avere difeso le acque territoriali italiane dalla pericolosa invasione degli immigrati irregolari. Ha prevalso questa seconda linea, espressa con toni melodrammatici: «Ci sono momenti in cui per arrivare alla libertà bisogna passare per la prigione», e ancora «Scriverò ‘ Le mie prigioni’ come Silvio Pellico, faccio un nuovo format televisivo».
Sembrano frasi autoironiche, ma purtroppo di ironico non c’è nulla, c’è solo il calcolato fine di trarre un vantaggio elettorale presentandosi come vittima della giustizia. Tanto è vero che le frasi sono state accompagnate dall’avvertimento che per giudicarlo sarebbe stata necessaria un’aula di grandissime dimensioni, perché insieme a lui davanti al tribunale si sarebbero presentate migliaia di sostenitori.
Temo che non si tratti solo di espressioni stravaganti: dietro a queste frasi sta una visione stravolta della giustizia, trasformata in strumento posto al servizio delle esigenze elettorali del capo del partito di maggioranza relativa, in un quadro in cui probabilmente lo stesso Salvini non si rende neppure conto che sta calpestando la dignità e l’immagine della funzione giudiziaria.
Per il Capitano queste giornate pre- elettorali sono state decisamente poco felici. Nelle dichiarazioni in libertà degli ultimi giorni a Salvini è anche sfuggito un attacco ai giudici di sinistra, che farebbero meglio a occuparsi di spacciatori e delinquenti, e – ben più grave e irresponsabile – un richiamo all’antisemitismo di cui a prima vista è difficile comprendere l’origine e la ragione. In un intervista a un quotidiano israeliano Salvini ha collegato la diffusione dell’antisemitismo in Italia al crescente numero di immigrati di religione musulmana, a suo avviso notoriamente e indiscriminatamente antisemiti, senza rendersi conto che nel contrastare le manifestazioni di antisemitismo dimostrava nello stesso tempo una buona dose di razzismo nei confronti degli immigrati, specie se musulmani.
Quindi, non solo ignoranza delle storiche e profonde radici dell’antisemitismo italiano, ma un gratuito e oltraggioso attacco alla comunità dei musulmani in Italia, i cui rappresentanti hanno giustamente e vivacemente reagito. Infine, è di queste ore la notizia che, circondato da cineprese e giornalisti, Salvini ha suonato al citofono di una famiglia di tunisini residenti a Bologna chiedendo all’interlocutore se suo figlio è uno spacciatore.
Ne è sorto un incidente diplomatico, con le indignate proteste del vice presidente del Parlamento della Tunisia e dell’ambasciatore tunisino a Roma. Ve ne è quanto basta per augurarsi che nei pochi giorni che rimangono prima della consultazione elettorale in Emilia- Romagna il senatore Salvini si astenga da qualsiasi ulteriore manovra propagandistica, specie se ad essere coinvolti sono la giustizia, l’antisemitismo, i musulmani e i rapporti con un Paese amico quale è la Tunisia.