Brando Benifei, capodelegaizone del Pd a Strasburgo, sula candidatura di Schlein in Ue spiega che «sicuramente abbiamo bisogno di polarizzare il dibattito» e sostiene poi Draghi in un futuro a Bruxelles. «Grazie alla sua esperienza alla guida di un esecutivo - dice - appare realistico un suo ruolo in seno al Consiglio europeo».

Capodelegazione Benifei, cosa pensa del “conclave” dem a tema Europa in corso a Gubbio?

Credo abbia ragione la capogruppo del Pd alla Camera, Chiara Braga, che ha chiarito con nettezza che forse anche il governo dovrebbe imparare a riflettere e confrontarsi con esperti e rappresentanti della società civile come quelli che stanno discutendo con i nostri deputati a Gubbio. Tuttavia credo che questo seminario non porterà a decisioni di alcun tipo, visto che diversamente da altri partiti il Pd ha luoghi ben precisi dove si discute e si decide.

A proposito di decisioni, non è ancora arrivata quella della segretaria Schlein sulla sua candidatura alle Europee: che ne pensa?

Certamente la segretaria Schlein metterà la faccia in campagna elettorale e lo sta già facendo con una presenza capillare sui territori e negli incontri con le realtà della società civile. Ma la decisone sulla candidatura spetta prima di tutto a lei e credo sia opportuno discutere di questo di più nelle sedi di partito e meno sui giornali rispetto a quanto ho visto fare nelle ultime settimane.

Lei cosa consiglia alla segretaria?

Credo non abbia bisogno di un mio consiglio, anche perché è già stata una parlamentare europea che ha lavorato molto e bene e quindi conosce la politica europea molto più di tanti. Sicuramente abbiamo bisogno di polarizzare il dibattito e la legge elettorale che abbiamo in Italia per le europee, che è molto particolare, rende plausibile la discesa in campo dei e delle leader per dare il senso di un impegno senza sconti.

Tra le tante esternazioni di cui parlava ci sono quelle di molte donne del Pd, che reputano un rischio la candidatura di Schlein per lo spazio tolto alle colleghe: condivide?

Penso che in elezioni con le preferenze vengono eletti coloro che ottengono i voti. È capitato di eleggere più donne avendo capilista donne ed eleggere più uomini avendo capilista uomini. Quindi credo che questa sia una discussione da considerare, ma in buona parte sovraesposta e deformata nel dibattito che c’è stato sui giornali.

Sui giornali si parla molto anche di Autonomia, con il Pd che ha definito il progetto Calderoli uno “spacca Italia”. Perché?

Non è solo un’idea del Pd ma condivisa da realtà produttive e sociali del paese. Le quali si rendono conto di come questo progetto, più che valorizzare chi è in grado di fare meglio da solo, rischia invece di spaccare il paese. Come Pd stiamo dimostrando di essere l’unico vero partito nazionale in grado di avere una linea chiara su questi temi.

La maggioranza dice che la riforma servirà proprio a diminuire le differenze tra Regioni virtuose e meno virtuose…

Diciamo che il dibattito si potrebbe esaurire pensando semplicemente all’impatto che questa riforma avrà sulla sanità e sulla scuola, in un contesto di disuguaglianze che sono cresciute perché molti governi, in particolare quelli di destra e il governo Monti, hanno scaricato i tagli e le misure di austerità sui territori. E quindi sulla capacità delle realtà locali di dare risposte ai cittadini.

Per il governo la riforma porterà anche a un miglior utilizzo dei fondi europei da parte delle Regioni: potrebbe accadere?

Il ddl Calderoli non sembra tanto la strada giusta per utilizzare con maggiore efficacia le risorse comunitarie quanto per soddisfare i partiti di maggioranza rispetto alle richieste dei rispettivi elettorati. A ciò si aggiunga che i troppi sprechi hanno portato al fallimento nell’utilizzo dei fondi europei. Ma questo dipende anche da chi governa: vediamo Regioni come Toscana ed Emilia Romagna eccellere nella spesa di fondi europei e altre regioni arrancare, non solo al sud. Occorre riprendere la strada di un maggior coordinamento tra livello centrale e regionale come al tempo del governo Draghi.

A proposito di Draghi, si parla molto di un suo ruolo nell’Ue che verrà: che ne pensa?

Si tratta di questioni da discutere nel quadro più complessivo delle nomine europee. Tuttavia è difficile negare la validità della presenza di Draghi al vertice delle istituzioni comunitarie. In particolare, grazie alla sua esperienza alla guida di un esecutivo appare realistico un suo ruolo in seno al Consiglio europeo. Appare invece meno plausibile una sua indicazione per la Commissione europea, in quanto in quel caso si confrontano figure più prettamente politiche.

I Socialisti hanno un nome?

In questi giorni abbiamo individuato una candidatura che deve essere confermata formalmente ma che è l’unica in campo all’interno del gruppo Socialista. È quella di Nicolas Schmit, commissario europeo per il Lavoro e per i diritti sociali. Da anni porta avanti le nostre battaglie, dal salario minimo ai diritti dei lavoratori del mondo digitale, fino alla lotta per i tirocini non retribuiti. Schmit sarà il numero uno della nostra campagna elettorale.

Pochi giorni fa Pd e M5S hanno votato in modo opposto sul Patto di stabilità e Conte ha detto di non aver capito il voto del Pd: come può nascere un’alleanza con visioni così diverse?

Credo che in questo caso sia Conte che non ha capito cosa abbiamo votato. Non abbiamo votato il testo del Patto ma il mandato ad avviare un negoziato tra Consiglio e Parlamento europeo. Per fortuna il Parlamento, con un lavoro serio di confronto tra gruppi politici, ha proposto un testo decisamente migliore rispetto a quello uscito dal conclave del Consiglio europeo, che ha vincoli molto pesanti sul deficit non previsti nel nostro testo. Ora si aprirà un negoziato serrato che durerà alcune settimane per trovare un accordo ma è chiaro che se il testo finale non sarà sensibilmente diverso da quello uscito dal Consiglio, che è un risultato pessimo per l’Italia frutto della scarsa capacità di azione in Europa del nostro governo, sarà necessaria una riflessione seria sulla possibilità o meno di sostenerlo.