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Marco Tarchi, professore ordinario di Scienze politiche all’università di Firenze
Secondo Marco Tarchi, professore ordinario di Scienze politiche all’università di Firenze, «Meloni e i suoi hanno avuto quasi tre decenni per socializzarsi alle logiche del governo e del sottogoverno» e per questo «rinverdire i fasti del Ventennio è l’ultima delle loro preoccupazioni».
Professor Tarchi, Gianfranco Fini con la sua ultima uscita ha fatto storcere un po’ il naso a Fdi, accusata nel dibattito politico di voler “tornare indietro” rispetto alla svolta di Fiuggi. Lei vede questo rischio?
Non lo vedo, per due motivi. Il primo è la distanza temporale: sono passati più di ventotto anni dalla nascita di Alleanza nazionale e la generazione che dirige Fratelli d’Italia è sempre più lontana da quell’impronta nostalgica che aveva caratterizzato l’esperienza del Msi. Il secondo è che la svolta di Fiuggi era stata improvvisata e, per i vertici missini opportunistica e strumentale, gestita da un Fini che pochi anni primi evocava l’avvento di un “fascismo del Duemila”, invitava Jean- Marie Le Pen ai suoi comizi e faceva sfilare i militanti contro la partitocrazia corrotta nell’imminenza del 28 ottobre per dare l’idea di tenere duro sulle battaglie di principio. Meloni e i suoi hanno avuto quasi tre decenni per socializzarsi alle logiche del governo e del sottogoverno e rinverdire i fasti del Ventennio mi pare l’ultima delle loro preoccupazioni.
Eppure una delle accuse che viene mossa ai vertici di Fdi, da Meloni a La Russa, è di non riuscire a sdoganare la parola “antifascismo” e tutto quel che ne consegue, dai valori della Resistenza alla condanna delle formazioni di ispirazione fascista. Che ne pensa?
Che, poiché la sinistra si immedesima più che mai nell’antifascismo, di cui si considera l’unica interprete genuina e coerente – salvo riesumare, strumentalmente e raramente, il contributo dei cattolici alla Resistenza per cercare di rintuzzare la fondata accusa di monopolizzare questo tema –, dirsi antifascisti ( senza peraltro essere minimamente creduti) significherebbe per Meloni e i suoi dare ragione agli avversari e piegarsi a un loro diktat. Per di più senza ricevere niente in cambio: il giorno dopo, le accuse di insincerità raddoppierebbero. Sarebbe una mossa politicamente suicida. Tanto più che, a sfilare sotto lo slogan “Siamo tutti antifascisti”, minacciando nuovi Piazzale Loreto, oggi sono i cortei dell’ultrasinistra dei centri sociali e degli anarchici.
Il capo dello Stato Sergio Mattarella come sempre si tiene lontano dalle polemiche e rappresenterà all’altare della Patria l’intera Nazione, ma il sondaggio di Quorum/ Youtrend per Skytg24 mostra che c’è ancora divisione su questa data. Crede che prima o poi finiranno le polemiche sul 25 aprile “divisivo”?
In passato, Mattarella ha severamente redarguito chi osasse sostenere che il fascismo “ha fatto anche cose buone”: ho quindi qualche dubbio sulla sua lontananza dalle polemiche. Anzi: giudico un’affermazione come quella l’ennesima riprova che per molto tempo una memoria condivisa di una vicenda lunga e complessa come quella del fascismo non potrà esserci. E aggiungo: per fortuna, perché le memorie condivise obbligatorie e univoche degli eventi storici sono tipiche dei regimi totalitari, che non ammettono libertà di giudizio. Già le polemiche sul “revisionismo” sono, da questo punto di vista, preoccupanti, perché riconsiderare, cercare nuovi documenti e nuove testimonianze, rivedere interpretazioni è un compito fondamentale della ricerca storica. Guai a sottostare a imposizioni e tabù.
In base al sondaggio appena citato circa la metà degli italiani pensa che in Italia ci sia un pericolo fascista: pensa sia davvero così?
Non lo penso affatto, e sugli esiti di questo tipo di sondaggi la penso come un grande studioso della politica qual era Giovanni Sartori: sono strumenti troppo facilmente manipolabili (e manipolativi), i cui risultati sono condizionati da un lato dal modo in cui vengono poste le domande agli intervistati e dall’altro dalla labilità delle risposte, spesso fornite sulla scia di emozioni suscitate sul momento dal dibattito pubblico.
Da cosa deriva dunque la percezione degli italiani sul pericolo fascista?
Poiché, da quando FdI ha iniziato a salire nelle preferenze di voto, due anni e mezzo fa, i media non hanno fatto altro che evocare lo spettro del risorgente fascismo, è molto probabili che certe risposte ne abbiano risentito. Chi può credere che, nel 48 per cento di elettori che ha dato il suo consenso al centrodestra, ce ne sia anche uno solo che pensa di aver alimentato il rischio di riportare l’Italia all’epoca dell’autoritarismo? Non credo che siano bastati i pur non trascurabili sforzi degli Scurati, dei Cazzullo, delle Murgia e dei tanti conduttori di talk show impegnati ad evocare e attualizzare i fantasmi delle camicie nere a spargere il timore di una nuova marcia su Roma.
Festeggiato il 25 aprile, mercoledì il ministro Fitto riferirà sul Pnrr, che stenta a decollare. Riuscirà il governo a portare avanti un fruttuoso dialogo con l’Ue e a rispettare tempi e impegni presi?
Per rispondere correttamente a questo domanda, si dovrebbe avere sottomano la documentazione adeguata a giudicare lo stato di avanzamento dei tanti progetti ancora in discussione o in corso. Mi limito a constatare che, ancor prima di vincere le elezioni, Meloni aveva avanzato seri dubbi sulla fattibilità di molte delle iniziative preventivate.
Era pretattica o vera convinzione?
È difficile dirlo, ma mi sembra che un atteggiamento di quel tipo costituisse una seria ipoteca sul soddisfacimento dei requisiti e delle richieste della Commissione europea. Se a ciò si aggiunge che a Bruxelles di sicuro non si coltivano particolari simpatie per l’attuale governo italiano, c’è da immaginarsi che il dialogo non sarà facile. Vero è che Fitto coltiva da anni una tale rete di relazioni con gli ambienti moderati e centristi dell’Europarlamento da poter sperare in una loro mediazione nei confronti dei vertici dell’Unione. Insomma, la partita sarà dura, anche se non disperata. Resta il problema della ripartizione delle responsabilità nei ritardi, negli intoppi e negli errori commessi durante la fase di previsione e redazione dei progetti che sono stati presentati per ottenere i finanziamenti.
Insomma è colpa di chi c’era prima?
Al di fuori delle inevitabili polemiche interpartitiche, il governo Draghi, e lo stesso Conte due, non possono di certo essere considerati estranei a queste pecche.