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LaPresse
Sul canale YouTube del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è apparso un video promozionale del calendario del Corpo di polizia penitenziaria per l'anno 2025 che ha suscitato molte polemiche per in quanto, come sottolineato in una interrogazione del Partito Democratico al Guardasigilli, “ritrae scatti e momenti finalizzati a trasmettere una narrazione sul lavoro degli agenti della polizia penitenziaria tutta orientata alla repressione e all'aspetto punitivo; si vedono agenti in tenuta anti-sommossa, armati con pistole e altre armi da fuoco, intenti in esercitazioni per immobilizzare i detenuti”. Ne parliamo con la deputata dem e membro della Commissione giustizia, Michela Di Biase.
Qual è l'aspetto più critico di quel video?
L’immagine che si vuole dare del corpo della Polizia Penitenziaria è tutta incentrata sulla violenza e sull’aspetto repressivo. L’articolo 27 comma 3 della Costituzione Italiana, che stabilisce i principi della responsabilità penale e della funzione rieducativa della pena, sancisce con il comma terzo che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. In nessuna delle immagini del calendario della Polizia Penitenziaria ne troviamo traccia. Il tema della formazione è ben lontano dall’essere essenzialmente manifestazione di forza fisica. Mi chiedo che senso abbia l’immagine di agenti intenti in esercitazioni per immobilizzare i detenuti. Abbiamo chiesto di ritirare il calendario perché trasmette un’immagine distorta del prezioso lavoro svolto dagli agenti penitenziari.
Come giudica la risposta di Nordio alla sua interrogazione?
Il ministro Nordio per giustificare le immagini violente presenti nel calendario della Polizia Penitenziaria, si è lasciato andare ad uno show: l’Italia per lui pare essere fondata sulla guerra. Le armi per un Ministro della Repubblica fanno parte della nostra storia. Lo trovo incommentabile. Invece di riconoscere la gravità di quelle immagini è venuto in Aula ancora una volta a prendere le difese del sottosegretario Delmastro Delle Vedove. Mi chiedo se non sia stremato di dover ogni volta venire in Aula per difenderlo. Lui, artefice della riforma sulla separazione delle carriere, diventa l’emblema dell’unicità delle carriere della giurisdizione. Per quarant’anni magistrato e per due anni, invece che ministro, avvocato difensore.
Delmastro in una intervista domenica al Giornale parlando del calendario della polizia penitenziaria ha detto: "La verità è che alla sinistra stanno antipatiche le forze dell'ordine".
Questa è una vera e propria menzogna che rimandiamo al mittente. Sono due anni che chiediamo che vengano ripristinati i tagli avviati nel 2023 sul Dap e sulla giustizia minorile. In ogni occasione – e lo abbiamo fatto con i nostri emendamenti anche in questa manovra finanziaria – abbiamo chiesto nuove assunzioni di organico della Polizia Penitenziaria (mancano 18 mila agenti), risorse adeguate per l’assunzione di psicologi, psichiatri ed educatori e fondi per la formazione degli agenti. Con gli emendamenti chiediamo anche interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sulle carceri, perché del fantomatico piano carceri non c’è traccia. Vediamo se voteranno le nostre proposte o se continueranno a sostenere la Polizia Penitenziaria solo a parole.
Secondo Lei esistono delle criticità nell'approccio culturale al lavoro da parte della polizia penitenziaria?
Non credo che le criticità nell’approccio culturale siano un problema che riguarda la polizia penitenziaria. Alcuni fatti gravissimi che sono avvenuti non compromettono il lavoro prezioso degli agenti che ogni giorno operano in condizioni di grande difficoltà per la situazione esplosiva delle carceri. L’approccio culturale sbagliato è quello del Governo che con questo calendario – e non solo - trasmette un’immagine distorta di quella che dovrebbe essere la funzione rieducativa della pena.
In generale come giudica l'attuale situazione delle nostre carceri?
E’ una situazione drammatica, i numeri parlano chiaro. Al 25 novembre 2024, secondo i dati pubblicati nel rapporto dell’Autorità Garante per i detenuti, il numero delle persone in carcere risulta essere di 62.410, su una capienza di 51.165 ma 46.771 posti effettivi. Cifre che portano l'indice nazionale di sovraffollamento al 133,44%. Siamo al di sopra dei dati che portarono alla sentenza Torreggiani del 2013 e alla successiva condanna della Corte europea dei diritti umani. C’è di peggio, perché abbiamo raggiunto il numero record di 85 suicidi nel 2024 di detenuti e 7 di agenti della Polizia Penitenziaria. Sono numeri che dicono molto più delle parole. Il Governo fa finta di nulla e si nasconde dietro gli annunci di un piano carceri che dopo due anni e mezzo è pura finzione. La realtà è che non ci sono le risorse e neanche i tempi per costruire nuovi istituti e non trovano fondi per migliorare tante situazioni di degrado negli edifici esistenti. Hanno approvato un decreto carceri, chiamato così proprio da loro, che non contiene nessuna soluzione. E in questo contesto drammatico la situazione tende a peggiorare perché l’esecutivo continua a far nascere nuovi reati in pieno delirio panpenalista.
L'attenzione all'esecuzione penale è morta nell'indifferenza politica?
Noi ci stiamo impegnando per ribaltare questa situazione. Vista la grave condizione in cui versano gli istituti di pena in Italia è ancora più importante parlare delle carceri per non abbassare la guardia rispetto alle condizioni di detenzione. Visitando le carceri, parlando con i detenuti e con il personale della Polizia Penitenziaria, ci si rende conto dei problemi che vivono e delle difficoltà in cui operano gli agenti. Nei mesi scorsi il Partito Democratico ha promosso una campagna in questo senso, dal titolo “Bisogna aver visto”. Siamo convinti che superare l’indifferenza verso la condizione dei detenuti sia il primo passo per affrontare l’emergenza carceri nel nostro Paese.