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Le condizioni di salute di Marcello Dell’Utri si sono aggravate. Il tumore alla prostata, che a luglio era stato classificato come “a basso rischio” è peggiorato e ora è classificato come “ad alto rischio”. Il motivo dell’aggravamento è piuttosto semplice: Dell’Utri, per mesi, non è stato curato. La direzione sanitaria di Rebibbia aveva in varie occasioni richiesto che gli fosse concessa la detenzione domiciliare, per curarsi adeguatamente, ma il tribunale di sorveglianza ha sempre risposto no.
Risulta che negli ultimi mesi Rebibbia si sia rivolta al tribunale di sorveglianza per più di cinquanta volte per chiedere che fosse sospesa la pena in carcere. Ma ha trovato un muro. Addirittura qualcuno sostiene che la Presidente del Tribunale di sorveglianza abbia in diverse occasioni fatto pressione sulla direzione del carcere affinché si prendessero provvedimenti per evitare la scarcerazione. E che persino si sia recata personalmente in visita dalla direttrice di Rebibbia. Mi pare impossibile che queste informazioni siano esatte, perché altrimenti ci troveremmo di fronte a una situazione davvero inedita. Di sicuro c’è che il tribunale di sorveglianza continua a respingere le richieste di scarcerazione che appaiono assolutamente ragionevoli a chiunque abbia voglia di esaminare il caso senza pregiudizi e senza ideologie.
E c’è anche un’altra cosa sicura: che il metodo- dell’Utri rischia di diventare una specie di protocollo, e dunque di sbarrare la possibilità dei domiciliari per decine di detenuti che ne avrebbero diritto. In questo modo si mettono a rischio molte vite, e si calpestano i principi della Costituzione e della dichiarazione dei diritti dell’uomo.
Dell’Utri attualmente si trova ri- coverato in un ospedale alla periferia di Roma, Il “Campus Biomedico”. In quali condizioni? Le descrive nella sua relazione, inviata alla direzione del carcere e al tribunale di sorveglianza, il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma. In una stanza singola, guardato a vista da due agenti che vivono nella stanza con lui, giorno e notte, alternandosi in turni di sei ore. Gli agenti stanno in una specie di ingresso, che è separato da una parte e divisoria scorrevole, trasparente, dalla stanza dove c’è il letto di Dell’Utri. La parete però è sempre aperta. E la luce sempre accesa. Dell’Utri viene sorvegliato a vista, anche quando va in bagno. Dorme con difficoltà per via della luce e dei rumori prodotti dagli agenti di custodia. L’ora d’aria alla quale ha diritto era stata ridotta a mezz’ora ( poi da qualche giorno riportata ad un’ora dopo le proteste degli avvocati) e Dell’Utri trascorre questo breve tempo in un terrazzo di pochi metri quadrati dove sono sistemati i motori dell’impianto di areazione di tutto l’ospedale. Praticamente può passeggiare un pochino in questa specie di sala macchine, con un rumore assordante. Per le altre 23 ore sta fermo in stanza, non può uscire in corridoio, non può neanche aprire la finestra e dunque non respira mai l’aria di fuori.
Negli ultimi giorni sono state effettuate su Dell’Utri varie perizie: urologiche, radiologiche, cardiache e psichiatriche. Tutte hanno detto che la sua situazione si sta aggravando. Non solo il tumore: tutto lo stato generale di salute è in deterioramento. La radioterapia che dovrebbe contrastare il cancro ha poche possibilità di successo, perché il modo nel quale viene detenuto in ospedale è causa di un fortissimo aumento dello stress e lo stress agisce direttamente sull’aggravamento della malattia. E’ peggiorata anche la sua situazione cardiaca e la perizia psichiatrica è davvero allarmante. L’ha effettuata il professor Claudio Mencacci, che non è uno sconosciuto, è il presidente della Società italiana di psichiatria. Dice che Dell’Utri vive in uno stato d’ansia, che ha disturbi del sonno, che nonostante la sua personalità robusta rischia un veloce aggravamento sia dell’ansia sia della depressione, e spiega come ansia e depressione possono avere effetti devastanti sull’aggravamento sia del tumore sia dei disturbi cardiaci, sia del diabete. Il professor Mencacci, nella sua relazione, ci informa che la comunità scientifica usa, per indurre la depressione nella cavie ( topi), sistemi molto simili a quelli usati nella detenzione di Dell’Utri.
Ho messo poco di mio, in questa descrizione. Mi sono limitato a riportare fatti oggettivi. E questi fatti dicono che la detenzione di Dell’Utri avviene in contrasto con la Costituzione e con le leggi. Mi chiedo solo se esiste una autorità in grado di intervenire, per ristabilire la legalità e l’umanità. Io non so se questa situazione dipenda da una precisa volontà di qualcuno, o se è solo l’effetto di una serie di coincidenze e di distrazioni. Però è evidente che ora Dell’Utri si trova oggettivamente nelle condizioni di un perseguitato. E che sono abbastanza grandi le possibilità che questa persecuzione lo spinga verso la morte. Cioè, verso la morte in carcere. A quali interessi superiori della nazione sarebbe utile la morte in carcere di Marcello Dell’Utri dopo un lungo periodo di persecuzione, feroce e illegale? Non riesco a credere che esista un interesse superiore, né della nazione ma neppure di qualche gruppo politico o di qualche ideologia.
L’obiezione che per Dell’Utri si muovono gruppi giornalistici o politici ( per altro molto molto piccoli) che non sono abituati ad esercitare la stessa pressione per altri detenuti non sta in piedi. certamente non riguarda noi di questo giornale, ma chiunque riguardi è una obiezione molto fiacca: i diritti inalienabili di ogni detenuto sono gli interessi di tutti i detenuti. Se si riesce a porre fine alla situazione di illegalità nella quale si realizza la detenzione di dell’Utri si ottiene qualcosa che poi riguarderà tutti i detenuti. L’affermazione della legalità e dei principi costituzionali, non è mai la vittoria di una persona sola, non è mai un favoritismo. E’ l’affermazione di valori universali.
Esiste una istituzione che è in grado di intervenire in tempi molto rapidi) ogni giorno che passa le malattie di Dell’Utri rischiano di diventare irreversibili)? Se non esiste questa istituzione torno as rivolgermi sommessamente al capo dello Stato, che è l’unico, forse, che è in grado di intervenire. Concedendo la grazia. Non solo sarebbe un gesto di umanità, ma un atto di rafforzamento della credibilità della giustizia italiana.