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Il salone di Torino, il più importante evento dell'editoria italiana, il salotto letterario del nuovo millennio in cui idee e pensieri dovrebbero farci volare alto e allontanarci dalle nostre miserie quotidiane, è piombato nel pantano.
Peggio: è riatterrato miseramente nel cortile di casa, lì dove la polemica, anche la più delicata e seria, assume sempre i caratteri del grottesco. Soprattutto dopo che la sindaca di Torino Chiara Appendino e il governatore del Piemonte Sergio Chiamparino hanno denunciato la casa editrice Altaforte per apologia di fascismo. Come dire: visto che non siamo in grado di decidere, lasciamo che ( anche) questa grana la risolva la magistratura. La vicenda ormai è nota: la casa editrice Altaforte legata all’organizzazione neofascista Casapound ha chiesto e ottenuto uno stand di circa 10 metri quadrati in uno spazio espositivo di circa 63mila totali. Certo, c’è da dire che Francesco Polacchi, il responsabile editoriale della casa editrice di estrema destra, non è l’immagine classica dell’editore. L’ultima foto che lo ritrae è quella scattata nel corso di un assalto a piazza Navona in cui il nostro, testa rasata e petto villoso, impugna e brandisce una mazza tricolore che non promette nulla di buono. Ma questo è il passato e bisogna stare bene attenti a non cadere in pregiudizi dal deciso retrogusto lombrosiano. E poi chi lo ha detto che un editore con la faccia da pugile non possa discutere di Proust con Roberto Calasso, Nicolo Lagioia e Christian Raimo? La cosa però si fa più seria quando una superstite di Auschwitz fa sapere che no, di respirare la stessa aria di uno che nega l'olocausto non gli va. Lì non rimane altro che chinare il capo e comprendere. Meno comprensibile è quando, in nome della libertà, si chiede agli organizzatori di censurare una casa editrice. Combattere un’idea illiberale e antidemocratica con la censura e il rogo simbolico dei libri sarebbe quantomeno paradossale. Almeno quanto l’idea di consegnare ai giudici la decisione di stabilire il limite tra fascismo e antifascismo.