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La vicenda giudiziaria è all’inizio e si prospetta uno scontro a viso aperto tra il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e la magistratura. Il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, ha passato le carte dell’inchiesta sui migranti della nave Diciotti ( le ipotesi di reato sono sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio) al Tribunale dei ministri, Salvini ha definito l’inchiesta «una vergogna» e annunciato che non si sottrarrà al processo. Parole, quelle del ministro, che il presidente di Magistratura democratica, Riccardo De Vito, definisce «al limite dell’eversione» e che avrebbero richiesto un intervento «più netto e meno sfumato a difesa delle prerogative della magistratura» da parte del Guardasigilli, Alfonso Bonafede.
Presidente, Salvini ha dato fuoco alle polveri.
L’intervento, da parte del ministro dell’Interno Salvini, in merito all’iniziativa giudiziaria costituisce certamente un’interferenza forte. Però le posso assicurare che non sortirà alcun effetto: la magistratura è serena, ma soprattutto non pretende di sostituirsi alle prerogative di nessuno. La procura di Agrigento ha fatto il proprio lavoro, indagando sulla sussistenza di reati e seguendo tutte le procedure del caso specifico, ivi compresa la trasmissione degli atti al competente Tribunale dei ministri, una volta verificata l’ipotesi a carico del ministro.
Lei ritiene che la magistratura sia sotto attacco? Il ministro, nel rispondere all’iniziativa giudiziaria, ha chiamato in causa il consenso popolare di cui gode il governo.
Vivivamo in uno stato di diritto e la nostra è una democrazia a costituzione rigida. Ribadisco questo, qualora servisse, per ricordare che l’invocazione del sostegno delle masse popolari non ha nulla a che fare con le regole stesse della nostra forma di Stato. Democrazia non significa potere della maggioranza, ma esercizio delle proprie prerogative nell’ambito delle regole poste, a partire dal principio della tripartizione dei poteri. La forza del diritto sta proprio in questo: nella tutela degli ambiti di competenza di ciascun potere, non nella legge del più forte. Il ministro Salvini dovrebbe tenerlo bene a mente, perchè in futuro ciò che dice oggi potrebbe ritorcersi contro di lui.
Eppure l’iniziativa della procura ha aperto un fronte che non poteva non provocare un aspro dibattito pubblico.
Glielo ribadisco: nessun dibattito pubblico può inficiare i risultati di una indagine e nemmeno avere effetto di orientarla. I colleghi agiranno con serietà e professionalità, tanto più necessarie non tanto a causa del clima di conflitto non certo voluto dalla magistratura, ma soprattutto vista la consistenza del caso giudiziario. Non dimentichiamo che l’intera inchiesta nasce da quella che è apparsa come una grave sospensione dei diritti costituzionali delle persone a bordo della nave Diciotti. Detto questo, saranno le procure competenti a verificare la solidità delle ipotesi e a verificarne oggettivamente gli estremi.
Vede il rischio di un debordare dell’esecutivo nel potere giudiziario?
Se l’asse della giustizia si avvicinasse alla maggioranza politica invece di rimanere neutrale ci sarebbe il rischio di una riedi- zione di tentativi autoritari, che mettono in pericolo la convivenza civile. Per fortuna tutto questo è precluso dalla Costituzione.
Il presidente dell’Anm, Francesco Minisci, ha chiesto l’intervento del ministro della Giustizia Bonafede. Condivide?
Assolutamente sì. Le istituzioni devono avere ben chiari i confini tra poteri e soprattutto ricordare quale sia il ruolo della magistratura nel nostro Paese.
Eppure Bonafede si è espresso. Troppo poco?
Le parole del Guardasigilli sono apparse eccessivamente moderate e sfumate, soprattutto per ciò che riguarda l’autonomia della magistratura. Ci saremmo aspettati una presa di posizione più severa e più netta in favore delle prerogative del potere giudiziario e a difesa della separazione dei poteri.
Così, però, il ministro avrebbe rotto il fronte della maggioranza di governo.
Bonafede è il ministro della Giustizia e avrebbe potuto spendere parole più forti, anche a costo di rompere il fronte di unanimità del governo attorno alle esternazioni del ministro Salvini, che in alcuni casi possono apparire francamente eversive.