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Il diritto alla difesa non è negoziabile e ridurre le facoltà degli avvocati non accorcerebbe le tempistiche processuali. È questo il monito lanciato da Antonio de Notaristefani, presidente dell’Unione delle Camere civili, nel corso dell’Assemblea nazionale dei civilisti, dove si è tornati sulla discussa riforma del processo rimasta ai box dopo il rimpasto di governo.
Quando si parla di processo civile si parla di tempi troppo lunghi. Basta intervenire sul rito per ridurli?
I tempi del processo non sono prevalentemente condizionati dal rito, bensì da questioni organizzative e di mezzi. Il ministro ha promesso stanziamenti importanti e questo, sicuramente, potrà essere di grande aiuto. Ma bisogna ricordare che l’articolo 111 della Costituzione dice che il processo deve avere una durata ragionevole, non che debba essere affrettato. Introducendo limitazioni alla facoltà di difesa delle parti, come preclusioni, decadenze e quant’altro, si rendono i processi meno giusti e questo finisce con l’aumentare comunque la durata complessiva. Perché se le persone reputano di aver subito un’ingiustizia dalla sentenza di primo grado faranno ricorso in appello.
Qualche esempio?
La soppressione delle famose memorie istruttorie, di cui tanto si è discusso, ad esempio, a nostro parere non velocizza alcunché, perché i termini per sono fissati in 80 giorni. Dato che la durata di un processo di primo grado è di alcuni anni, è ovvio che riducendo di 20 giorni quei termini non cambia nulla da un punto di vista statistico, bensì si rischia solo di comprimere il lavoro della difesa. Per un cittadino sentirsi dire che ha torto perché quel documento che gli dava ragione è stato esibito troppo tardi è una palese ingiustizia.
Qual è allora il problema principale?
Il numero di processi per ciascun giudice. È evidente che se aumenterà il numero dei giudici ci sarà un primo risultato. L’attuale rito consente già di risolvere rapidamente i processi più semplici, quindi se le norme esistenti vengono applicate allora anche i processi più complessi saranno, automaticamente, più veloci. Ma i tempi di processi relativi, ad esempio, al tema degli appalti o in materia societaria, richiederanno comunque un tempo che è incomprimibile.
Quali sono le richieste dei civilisti al ministro della Giustizia?
Chiediamo un grosso sforzo organizzativo e un intervento sulle prassi, perché purtroppo gran parte del tempo viene perso per una consuetudine consolidata, ovvero la mancata applicazione delle norme che potrebbero velocizzare la trattazione dei processi.
Durante l’assemblea nazionale ampio spazio è stato dedicato alla crisi e al rilancio di impresa. Come si inserisce l’avvocato nella nuova disciplina?
Oggettivamente, l’impressione è che la nuova disciplina riduca gli spazi di intervento degli avvocati, piuttosto che ampliarli. E questo non è utile soprattutto ai cittadini. La nostra è una professione dalla forte valenza pubblicistica, quindi una maggiore capacità d’incidenza degli avvocati servirebbe a garantire tanto la legalità quanto la giustizia delle procedure fallimentari. Che sono questioni delicate che riguardano il destino anche di migliaia di persone, basta pensare ai crack bancari.
E come si può accrescere questa capacità d’incidenza?
Molto spesso alcuni tribunali prevedono collegi di curatori composti da un commercialista e da un avvocato, una prassi ormai diffusa in molti tribunali e che a mio avviso ha prodotto risultati eccellenti. La mia proposta è di prevedere tale prassi a livello normativo. Attualmente è previsto un albo nazionale dal quale viene poi attinto il nome del curatore, ma ciò crea una serie di problemi, perché viene meno anche il rapporto fiduciario che c’è tra curatore e tribunale fallimentare.