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Ieri, in riunione di redazione, il direttore di Repubblica Mario Calabresi ha detto che a lui sembrerebbe una buona cosa se il presidente onorario del gruppo, e cioè il mostro sacro Carlo De Benedetti, si dimettesse. Detto con un linguaggio un po’ più crudo: ha invitato il padrone a togliersi dalle scatole. Non ricordo molti precedenti.
La sera prima, come sapete tutti, De Benedetti, ospite di Lilli Gruber a La7, aveva sparato a palle incatenate contro Repubblica e in particolare - e con particolare disprezzo - contro il suo inventore e fondatore, e cioè Eugenio Scalfari. A Repubblica il clima è molto teso. La guerra, a quel che si sa, è in famiglia. In famiglia in senso stretto: i figli di De Benedetti, che gestiscono il giornale, contro il padre, che lo ha lasciato loro in eredità. Sono i figli di De Benedetti quelli che hanno scelto il direttore Calabresi, e al padre quel direttore non è mai andato a genio.
Tanto che, qualche mese fa, ha preteso di affiancarlo con un condirettore di suo gradimento, e cioè Tommaso Cerno, ex direttore dell’Espresso. Calabresi invece così si dice - è molto legato a Scalfari.
In realtà la poca simpatia tra Scalfari e De Benedetti è di antica data. Finora però era sempre stata tenuta sottotraccia. Si dice che, in privato, editore ed ex direttore da diversi anni parlino velenosamente l’uno dell’altro. Ora la furia è esplosa. Non l’ha fatta esplodere Scalfari ma è stato De Benedetti ad accendere la miccia, e sembra proprio che in realtà più che con Scalfari ce l’abbia col sangue del suo sangue: con Rodolfo e con Marco, i figli “traditori”.
Prima De Benedetti ha rilasciato una intervista di fuoco al Corriere della Sera, cioè al giornale concorrente, gettando disprezzo e un po’ di fango su Repubblica e sul suo fondatore, colpevole di aver risposto qualche giorno prima a Giovanni Floris che, nel gioco della torre, avrebbe preferito Berlusconi e Di Maio. Poi l’altra sera il nuovo attacco di De Benedetti via Tv. Quale Tv? Quella di Umberto Cairo, la7. Cioè dello stesso Cairo che è l’editore del Corriere della Sera.
Ora noi potremmo dire che siamo di fronte a una delle crisi classiche e cicliche di Repubblica. Il fatto è che Repubblica stavolta non si trova da sola. Nell’ultimo anno i grandi Giornali italiani, tutti, hanno attraversato una bufera che non sembra ancora finita, e da questa bufera sono usciti molto indeboliti, e con le idee confuse, e hanno finito per sconvolgere e fare impazzire quella che era la bussola del giornalismo italiano. Sto parlando dei quattro giornali più venduti. Di Repubblica abbiamo detto ( tralasciando per il momento una valutazione della sua riforma grafica, molto radicale e un poco discutibile, e che pare sia uno dei motivi della rabbia di De Benedetti). Poi c’è il Sole 24 ore, che è a pezzi per la crisi provocata dall’affare Napoletano ( l’ex direttore messo alla porte) e dei conti truccati. A ruota il Corriere della Sera, che resta saldo dal punto di vista della salute generale, ma è passato nelle mani dell’editore Cairo, sottratto alla grande borghesia e ai vecchi padroni del vapore lombardi e piemontesi, e l’editore Cairo lo sta spostando sempre di più su posizioni non dico grilliste ma poco ci manca.
Infine la Stampa, la più solida, vecchia, robusta, immobile icona del giornalismo italiano, che qualche giorno fa ha preso una cenciata in faccia come non se ne vedevano da tempo: ha pubblicato uno scoop a tutta prima pagina, sostenuto dalle prime quattro pagine del giornale, che demoliva Berlusconi annunciando che la vendita del Milan era falsa ed era una operazione da gangster, e che la Procura di Milano era pronta a intervenire. Scoop durato qualche ora, perché la Procura di Milano ha smentito tutto in maniera inequivocabile.
Per un errore di questo genere, fino a qualche anno fa, sarebbero cadute molte teste. Oggi il giornalismo italiano è diventato una cosa così friabile e inconsistente, così privo di attendibilità, che un errore giornalistico colossale come quello della Stampa è passato quasi quasi inosservato. Anche se resta un grande punto di domanda: chi ha passato alla Stampa le informazioni false? Perché lo ha fatto? Qualche pezzo della Procura di Milano, per caso, ha qualche responsabilità?
Anche sopra questi interrogativi passa il silenzio: nessuno ha voglia di sfrugugliare troppo. Né i giornali populisti, come il Fatto o
la Verità, perché, soprattutto il primo, temono di fare un favore troppo grosso a Berlusconi. Ma nemmeno i grandi giornali, come il Corriere, che potrebbe avvantaggiarsi da una difficoltà del giornale concorrente in Piemonte, ma non lo fa perché - come dicevamo - il Corriere di questi tempi è molto attento a non infastidire né il movimento 5 Stelle né le Procure, e in particolare quella di Milano.
Allora adesso il punto è questo: c’era una volta, in Italia, un sistema di giornali molto debole, ma che comunque trovava le sue energie raggruppandosi attorno al quadrilatero di quelli che Travaglio chiama i Giornaloni. Appunto, quei quattro. La loro crisi, e anche la loro subalternità, ormai, al vento del populismo che è difficile da contrastare da una posizione di debolezza, fa cadere tutto il castello. L’intero mondo del giornalismo non ha più il punto di riferimento, la bussola. Resta privo di una patente di attendibilità, privo di un sistema di acquisizione delle notizie e di una rete di fonti ( a parte le Procure), privo di protezione politica, ed ora privo anche del “nocciolo duro” dell’informazione che era costituito dai quattro Grandi. Dove va? Rischia di essere travolto del tutto, di perdere quel filo sottile sottile di indipendenza che aveva mantenuto, di finire prigioniero e schiavizzato dai nuovi padroni.
Non è una buona notizia. Non è una buona notizia il tentativo di De Benedetti di annientare un padre del giornalismo moderno come Scalfari. e di seppellire la sua creatura: Repubblica. Forse è una buona notizia, invece, l’atto di ribellione di Mario Calabresi. Bisogna vedere però quanto durerà Calabresi alla testa del giornale.