«Chiedo responsabilità. Mi rivolgo a tutti. Chiedo di mettere da parte le strumentalizzazioni. Sul carcere non ce n’è proprio bisogno. Serve invece consapevolezza, anche da parte di chi conduce battaglie per migliorare la condizione dei detenuti. E chi è recluso deve sapere cosa ha davanti a sé, quali sono le reali possibilità di reinserimento e quando finirà la pena. Partiamo da due punti chiave: il lavoro come principale forma di recupero sociale e la possibilità di accedere più agevolmente alle misure alternative. Abbiamo scelto di impegnarci lungo queste due direttrici e credo otterremo risultati significativi, anche se in tempi non istantanei. E, proprio a proposito di tempi, non è giusto alimentare illusioni e agitare chi è dietro le sbarre».

Il sottosegretario Andrea Ostellari, da anni in primissima linea, per la Lega, sulla giustizia, è uno dei più diretti responsabili della politica penitenziaria. Perché al ministero guidato da Carlo Nordio ha la delega politica al Trattamento e alla Giustizia minorile, e perché è stato, sul piano politico, uno dei principali artefici, con il guardasigilli, del decreto da poco convertito in legge. Ostellari respinge l’accusa che non si sia fatto abbastanza: «Non è con il liberi tutti che risolvi il problema» .

Ma un provvedimento che avesse lasciato vedere, a un ampio numero di reclusi, più vicina la fine della permanenza in cella avrebbe contribuito a diffondere speranza: il discorso, sulla necessità di effetti immediati, deriva essenzialmente da questa analisi.

Ma io mi chiedo, anzi chiedo a tutti: davvero rimettere libere persone che non hanno completato un percorso rieducativo, e che, soprattutto, rischiano di tornare fuori dal carcere senza alcuna concreta opportunità di reinserimento lavorativo, significa dare speranza? O non dobbiamo piuttosto riflettere su quel 70 per cento di reclusi che entrano nei penitenziari dopo aver avuto già un’esperienza di detenzione? E cioè sul fatto che la libertà, senza reale rieducazione e reinserimento, dura poco? Che anzi è solo un inganno, e rischia dunque di ancorarsi a una visione solo ideologica, ma non oggettiva dell’esecuzione penale?

Responsabilità, sottosegretario, vuol dire anche che in ogni caso per voi ora viene il difficile: dovete rendere efficaci molte delle norme contenute nel decreto, che altrimenti resterebbero sulla carta.

Certo. È chiaro che il decreto è la cornice. È esattamente così. Penso innanzitutto all’elenco delle comunità: si doveva per forza partire da lì. I successivi passi devono consistere in un decreto ministeriale prima, e in una serie di misure operative poi, che consentano di individuare strutture garantite, sicure, in grado di offrire davvero un percorso di reinserimento e di recupero.

Non si tratta dunque di trasferire fuori dal carcere i soli detenuti con tossicodipendenze.

Assolutamente no. Non dico che il discorso non sia concepito anche per i detenuti con problemi di tossicodipendenza, ma l’articolo che prevede l’elenco delle comunità riguarda chi avrebbe già ora diritto alla misura alternativa della detenzione domiciliare e non può accedervi perché non ha una casa, né una famiglia. E ugualmente, il discorso vale anche per quei non pochi detenuti che potrebbero accedere all’affidamento in prova, ma che pure restano in carcere perché non hanno un domicilio. Guardi che sono migliaia di persone.

Quante migliaia?

Una volta che l’elenco delle comunità sarà completato e operativo, parliamo di 7000 reclusi, ai quali potrà essere concessa la misura alternativa, oggi impedita. Ecco, io credo che destinare una persona, condannata a scontare la pena dentro il carcere, a una struttura che le consenta di essere subito inserita nel circuito del lavoro sia tutt’altra cosa che liberarla e basta, lasciarla in mezzo a una strada col rischio che, dopo poco, in carcere ci ritorni. E vorrei aggiungere una cosa fin qui trascurata.

Quale?

Abbiamo previsto, per l’affidamento in prova, l’ulteriore possibilità di essere destinati a lavori di pubblica utilità. È chiaro che il percorso non potrà andare a regime in poche settimane, ma noi confidiamo che già nel giro di alcuni mesi gran parte dell’iter necessario sarà completato.

Ma dovrete abbattere l’altra barriera che impedisce l’accesso alle misure alternative: il carico che sovrasta i giudici di sorveglianza.

E noi abbiamo fatto in modo di ridurre, con il decreto, il numero di pratiche che materialmente ciascun magistrato di sorveglianza oggi è costretto ad esaminare. Questo procedimento consentirà di eliminare circa 200mila fascicoli dagli uffici.

Inoltre, il condannato saprà, fin dall’ordine di esecuzione, quale sarà il suo fine pena nel caso in cui segua percorsi trattamentali. È un patto che incentiva la persona a considerare la rieducazione come lo strumento migliore per ridurre la permanenza in carcere.

Avete già i primi riscontri numerici, sulla minore congestione degli uffici?

No, per il motivo molto semplice che il meccanismo riguarda gli ordini di esecuzione successivi all’emanazione del decreto. Ma siamo certi di poter rilevare, nel giro di un anno, non solo un significativo alleggerimento del carico per i magistrati di sorveglianza, ma anche un miglioramento della qualità dei provvedimenti.

In che senso?

Ieri la liberazione anticipata poteva essere richiesta ogni 6 mesi. Con la modifica, il computo resta semestrale, ma il giudice verificherà l’effettivo diritto del condannato a fruire del beneficio in base al percorso seguito, alla presentazione di un’istanza per il riconoscimento di una misura alternativa o di un permesso, o per il raggiunto fine pena. Ciò consentirà peraltro una valutazione complessiva della condotta e della progressiva rieducazione del detenuto.

A proposito di speranza da diffondere negli istituti: a normativa invariata, o con un ulteriore piccolo intervento, non si può velocizzare l’accesso alla misura alternativa dei domiciliari per chi è vicino al fine pena e una casa ce l’ha?

Guardi, la concessione della misura alternativa dei domiciliari a chi può effettivamente beneficiarne già oggi avviene in modo abbastanza lineare. Il problema sono i senza dimora, in prevalenza stranieri. Perciò riteniamo importante il percorso nelle comunità. È sui detenuti privi di domicilio che abbiamo numeri considerevoli.

Eliminare il rientro serale in cella per i semiliberi, cioè per i detenuti che di giorno già lavorano fuori: il Pd insiste per ripristinare questa soluzione. Che ne pensa?

Non mi convincono le scelte basate su automatismi generalizzati, svincolati dalla valutazione del giudice. Anche rispetto alle telefonate l’aumento secco è da 4 a 6. Ma abbiamo previsto, per quei reclusi che hanno una famiglia e dunque un bisogno particolare, di consentire ai direttori delle carceri una maggiore elasticità, con la possibilità di concederne anche senza limiti. Dopodiché ripeto: il decreto è la cornice. Non escludo ci saranno, peraltro, interventi ulteriori sui limiti alle carcerazioni preventive.

È un fronte caldo. Ma quanto può influire, considerato che la leva potrebbe essere quella di limitare il presupposto della reiterazione per gli indagati incensurati?

Non credo si tratti di numeri ridotti. È chiaro che anche qui si deve agire con responsabilità. Il regime delle misure cautelari va ridefinito in una prospettiva moderna, che non deve comunque prescindere dalle esigenze di sicurezza, in particolare per i reati più gravi. Vorrei anche ricordare come l’intervento sulla custodia cautelare, e in particolare sulla reiterazione, sia stato tra gli obiettivi dei referendum che noi della Lega abbiamo sostenuto insieme al Partito radicale. Tanto per chiarire che su diversi ambiti della giustizia non ci si può certo accusare di essere arrivati dopo, anzi.

Nordio, sulle “carriere”, ha detto di non temere la sfida del referendum.

Ecco, a chi non lo ricorda, faccio presente che anche la separazione fra giudici e pm rientrava nei referendum di due anni fa, e che abbiamo avuto già in quell’occasione Carlo Nordio al nostro fianco, sebbene in altra veste, cioè come presidente del principale comitato promotore.

Ma è sul carcere che vi toccano le incombenze più pesanti.

La Lega è garantista, sia nei confronti del presunto innocente, che merita di essere ritenuto tale sino a condanna definitiva, sia nei confronti della vittima di reato, che deve avere garantita la propria sete di giustizia. Per questo, su questi temi siamo aperti a ogni discussione, che non prescinda dai citati presupposti. Ed è esattamente con questo spirito che abbiamo contribuito a scrivere il decreto carcere per risolvere un’incombenza certamente pesante, ma che ha origini antiche e che molti hanno preferito non affrontare.