Il centrosinistra prova a difendere, almeno in parte, i contenuti della proposta di legge sul salario minimo affrontando la discussione proposta da Giorgia Meloni. Seppure la vigilia dell’incontro di oggi non sia stata delle più serene con il botta e risposta fra la premier e Elly Schlein, le forze del centrosinistra proveranno ad ottenere il massimo per avviare un confronto che entrerà nel vivo nel prossimo autunno. L’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano analizza così la situazione.

Come si arriva all’incontro di oggi sul salario minimo? Ci sono le condizioni per produrre qualche risultato?

Intanto va sottolineato che l’incontro di oggi è il risultato dell’iniziativa delle forze di opposizione. Il rischio poteva essere quello della cancellazione sic et simpliciter della proposta di legge sul salario minimo. Meloni, intelligentemente, ha scelto la strada del dialogo, ma come ha affermato Schlein, il confronto non deve risolversi in una passerella mediatica per dimostrare che ci si parla quando in realtà le scelte le compie unilateralmente il governo. Mi auguro quindi che possa davvero iniziare il confronto per arrivare a un inevitabile compromesso sui contenuti, perché non si può certo pretendere che la piattaforma dell’uno diventi la soluzione condivisa dall’altro.

Riesce ad immaginare il perimetro di questo eventuale compromesso? O almeno il canovaccio sul quale ci si potrebbe muovere?

La proposta sul salario minimo ha una sua forza propositiva perché ha rimesso al centro la questione del lavoro povero che riguarda più di tre milioni di lavoratori in Italia. Non penso che da solo il salario minimo possa risolvere il problema, ma sicuramente fa parte di una catena di interventi per sconfiggere la povertà che si vive nonostante il fatto che si abbia un’occupazione. Spero che, come prima decisione, venga istituita una Commissione permanente alla quale prendano parte Governo, Parlamento e parti sociali per affrontare la tematica. Il primo punto, come dice anche la proposta delle opposizioni, è quello di valorizzare la contrattazione e ridare vigore al sistema negoziale: ad esempio, prevedendo incentivi e detassazioni per i rinnovi puntuali dei contratti. Va ricordato che una delle cause della povertà è il rinnovo ritardato di contratti che scadono ogni 3 o 4 anni e invece vengono rinnovati dopo 8 o 10 anni, soprattutto nel settore dei servizi.

In secondo luogo, andrebbero recepiti per legge i minimi salariali dei cosiddetti contratti leader, categoria per categoria, senza limitarsi però al trattamento economico minimo, ma come punto di partenza per valorizzare il trattamento economico complessivo che è fatto di progressioni di carriera professionali e salariali, tutele per maternità, malattia e infortunio, ferie, festività, permessi retribuiti, welfare complementare e molto altro ancora. Inoltre, va considerato che oggi si assumono come riferimento i nove euro orari di paga base più contingenza, che sono gli stessi proposti da Nunzia Catalfo nel 2018. Nel frattempo, in questi ultimi cinque anni, l’inflazione ha totalizzato 18- 20 punti punti percentuali, ed è chiaro che la retribuzione standard andrebbe indicizzata periodicamente alla crescita dell’inflazione. Altrimenti i salari restano poveri.

Il salario minimo per legge rischia di sfavorire i lavoratori nella contrattazione collettiva?

Non bisogna concentrare l’attenzione solo sul salario minimo, ma, come ho già ricordato, sul trattamento economico complessivo. L’adozione di un salario minimo di legge, che va però definito con le parti sociali, deve tassativamente escludere vie di fuga dal sistema contrattuale. Sarebbe l’esatto contrario rispetto a quello che c’è scritto nella proposta dell’opposizione che vuole valorizzare la contrattazione.

Tra gli inoccupati rimasti anche senza reddito di cittadinanza e l’opposizione al salario minimo vede un rischio per le tutele dei lavoratori italiani?

Questo governo, a parole, enfatizza il suo profilo sociale, ma, simbolicamente, si limita a rappresentare le pulsioni populiste del suo elettorato. Infatti, nella pratica, abbiamo visto come il decreto lavoro abbia favorito l’accesso ai contratti a termine e all’utilizzo dei voucher. Con i tagli al reddito di cittadinanza si sono eliminate risorse per i più poveri con risparmi miliardari e con clausole per gli “occupabili” che sindacalmente fanno accapponare la pelle. Mi riferisco, ad esempio, a quella clausola che prevede che non si possa rifiutare un posto di lavoro a tempo indeterminato che viene offerto in qualsiasi luogo d’Italia. Si tratta, dunque, di sfidare l’esecutivo a passare dalle promesse ai fatti. Anche sul taglio del cuneo fiscale serve concretezza. Il provvedimento va nella direzione giusta solo se diventa strutturale: in questo modo aumenterebbe di oltre un punto percentuale i salari minimi. Cosa che non succede se si limita al periodo “una tantum” che va da luglio a dicembre di quest’anno.