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«Bene l’apertura di Renzi alle alleanze fatte in direzione, ma ora aspettiamo i fatti». Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro alla Camera e leader dell’area Laburisti Dem ha apprezzato la scelta di Piero Fassino come “pontiere” alla ricerca di un punto di contatto con la sinistra alternativa ma, sottolinea, non è pensabile guardare ad un’alleanza con gli alfaniani di Ap «in prospettiva futura».
Presidente, è uscito soddisfatto dall’assemblea del Partito democratico di lunedì?
E’ stato molto positivo che, nella sua relazione, il segretario Matteo Renzi abbia aperto sul tema delle alleanze. Era quello che gli chiedevamo da molto tempo a questa parte e, per questo motivo, l’abbiamo apprezzata. Al tempo stesso, però, bisogna che quelle aperture si traducano in concreto.
Insomma serve la prova tangibile della sincerità di Renzi?
Questo vale per qualsiasi leader: per verificare se le aperture sono sincere, bisogna passare dalle parole ai fatti. Per questo, la mia proposta è quella che rapidamente si costruisca un tavolo di confronto con le varie forze, a partire da chi sta alla sinistra del Pd come Mdp e il Campo progressista di Pisapia per verificare, attraverso i contenuti, se esistano le necessarie convergenze.
Renzi ha indicato Piero Fassino come alfiere per tentare la mediazione...
Considero un’ottima iniziativa quella di individuare Fassino come regista della costruzione di quest’alleanza. Lui è sicuramente la persona più indicata, per competenza, autorevolezza e metodo.
A onor del vero, l’apertura di Renzi non è stata solo a sinistra, ma anche al centro e ai moderati. Siete disposti ad accettare alleanze anche con gli alfaniani?
Per quanto ci riguarda, come minoranza, siamo interessati a costruire un’alleanza che guarda prioritariamente a sinistra e, quando parliamo di centro democratico e progressista, non includiamo chi ha avuto un’esperienza nel campo della destra.
Facendo l’avvocato del diavolo, viene da dire che con Alfano avete corso in Sicilia.
Un conto è il modello- Palermo riproposto in Sicilia per quella che è stata un’elezione regionale, e lo stesso vale per il governo di emergenza, nel quale il Pd ha governato con Alfano in uno stato di oggettiva necessità. Tutt’altro conto, invece, è guardare ad un’alleanza con Ap in prospettiva: questo non fa parte dell’ottica della sinistra Pd.
Orlando si è astenuto nel voto sulla relazione del segretario. Lei come si è espresso?
Anch’io mi sono astenuto, come del resto tutta l’area che fa riferimento a noi.
Con quali ragioni?
Di fronte all’apertura sulle alleanze del segretario abbiamo ritirato tutti i documenti che aveva presentato, dando dunque la piena disponibilità a non contrapporre un testo alternativo a quello di Renzi. Ora, però, vogliamo mettere in pratica questa apertura.
Lei era all’assemblea di Campo progressista di domenica. Ha percepito spazi reali per costruire questa alleanza?
Nell’assemblea di domenica, alla quale ho partecipato insieme a Gianni Cuperlo, si sono manifestate due tendenze. Pisapia ha sostenuto la tesi del rapporto con tutti fino all’ultimo momento, Pd compreso, per costruire il “campo progressista”. Per contro, Laura Boldrini ha detto con chiarezza che la possibilità di un’alleanza oggi non esiste. Si tratta di due tendenze sintomatiche della dialettica che esiste anche in queste formazioni. Io penso che il Pd da solo vada incontro a una sconfitta e che quindi la logica dell’autosufficienza debba essere battuta. Sono anche convinto, però, che sia difficile immaginare un centrosinistra senza il Pd, che nel bene o nel male è dato dagli ultimi sondaggi sopra il 25%. L’unica certezza è che divisi consegnamo il Paese alle destre.
Si è parlato della legge di Bilancio come primo banco di prova per testare la possibilità di un’alleanza con la sinistra.
Se si vuole costruire un programma insieme, non ci si può dividere sulla legge di Bilancio. La convergenza può avvenire su questioni come quella della previdenza, sulla quale anche il governo ha dimostrato apertura.
E sulla questione del lavoro?
In tema di lavoro, noi non riteniamo che si possa tornare all’Articolo 18, come dice Mdp. Soprattutto, crediamo che non sia giusto farlo nei termini da loro indicati: ovvero, solo per coloro che hanno ancora l’Articolo 18 - cioè gli assunti ante Jubs act - e non per i giovani delle tutele crescenti. Siamo altrettanto convinti, però, che si debba intervenire in materia di licenziamento: oggi è troppo facile licenziare e dovremo lavorare per rendere più costoso il licenziamento e per ristabilire un principio di proporzionalità fra infrazione commessa e sanzione comminata dal datore di lavoro. Ecco, su questi temi si può pensare ad un intervento di apertura, che potrebbe essere letto come un segnale di disponibilità da parte dei nostri interlocutori.
Realisticamente, lei ritiene che Renzi sia disposto a concedere qualcosa su questi temi?
Renzi ha dimostrato apertura sul tema delle pensioni, mentre meno disponibilità in materia di licenziamenti, almeno per il momento. Diciamo che per ora la scelta del segretario è stata quella di superare la logica dell’autosufficienza del Pd. Prendo questo come un segnale positivo, ma ora deve pensare a come costruire le alleanze, sempre con un occhio a questa legge elettorale.
Lei che ha da sempre una posizione dialogante con la sinistra alternativa, ritiene che ci siano margini concreti?
I margini sono stretti ma bisogna tentare, e Fassino è la persona giusta per farlo.