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«Il voto contrario all’emendamento sul ripristino dell’articolo 18 mette in luce le contraddizioni dei 5 Stelle». L’ex ministro del Lavoro e leader dei Laburisti Dem, Cesare Damiano, analizza così il decreto Dignità, in discussione alla Camera e alla prova degli attacchi delle minoranze.
I 5 Stelle hanno votato contro l’emendamento proposto da Liberi e Uguali sul ripristino dell’articolo 18. Perchè è una contraddizione?
Nel corso della campagna elettorale i 5 Stelle hanno sostenuto determinati obiettivi, come quello del ritorno all’articolo 18 ma, nella pratica di governo, evidentemente non intendono perseguirli. Questo chiarisce il modo molto propagandistico con il quale Di Maio ha impostato il decreto Dignità, arrivando persino a sostenere che si trattava della «Waterloo del precariato». Una bufala, mentre la realtà è che ha messo sotto attacco il contratto a tempo determinato e il lavoro in somministrazione, ovvero le modalità di assunzione tra le più rego- lamentate. Mentre la precarietà si annida soprattutto nelle pratiche di dumping sociale, nei contratti pirata, nelle false partite IVA, nel lavoro nero e nell’eccessivo costo del lavoro a tempo indeterminato, per il quale va prevista una riduzione del cuneo fiscale.
Quanto c’è di simbolico, nell’emendamento di Leu? Serviva ad evidenziare queste contraddizioni?
Tutti sanno perfettamente, compreso Leu, che è impossibile tornare all’articolo 18, perchè ci siamo resi perfettamente conto che dopo averlo difeso per 45 anni, quello scudo a protezione dal licenziamento si era indebolito a tal punto che, su 100 nuove assunzioni, meno di 20 erano a tempo indeterminato e tutto il resto ricadeva nelle molteplici modalità di assunzione, precarie o a termine.
Emendamento inutile, allora?
A mio avviso, sarebbe invece saggio che tutti uscissero dall’estremismo e che si imboccasse la strada virtuosa del superamento graduale delle logiche che hanno ispirato il jobs act.
Anche se per il Pd questa è stata l’occasione per ribadire che il jobs act, nei fatti, verrà mantenuto?
Buona parte delle logiche del jobs act delle origini è stata già modificata. Penso agli incentivi spot, superati dal governo Gentiloni, che è passato, nell’ultima legge di bilancio, ad incentivi strutturali di durata triennale per i nuovi assunti e per sempre.
Lei ha trovato in passato degli spunti positivi in questo dl Dignità.
Io ho apprezzato che questo governo, non sapendo quali pesci pigliare e cercando di camuffare la nor- mativa, non ha fatto nient’altro che continuare l’opera di Gentiloni, per esempio consentendo l’assunzione non solo degli over30, ma anche degli over35, con lo sconto sul cuneo fiscale fino a tutto il 2020. Una misura strutturale del passato Governo e un elemento di profonda innovazione rispetto alla logica congiunturale del jobs act. Il secondo punto di relativa novità è l’aumento delle mensilità di risarcimento in caso di licenziamento illegittimo, che porta le mensilità da 4 e 24, come previsto dal jobs act, a 6 e 36. Un innalzamento, questo, che avevo previsto, insieme alla Commissione Lavoro della Camera, nella scorsa legislatura: Gentiloni era d’accordo ma ci fu il veto di Renzi, che temeva si mettesse in discussione il jobs act originario.
Il Dl ha alcuni elementi di continuità con l’operato del Pd nella passata legislatura, quindi?
Considerando che sul tema dell’incentivo alle assunzioni a tempo indeterminato hanno fatto copia- incolla della normativa Gentiloni, direi che siamo stati noi a costringere il governo ad affrontare il vero nodo antiprecarietà: far costare di meno il lavoro quando è stabile e di qualità. Una nostra battaglia storica.
Il testo, però, ha raccolto un mare di critiche da parte degli imprenditori, soprattutto del Veneto, di cui si è fatto portavoce Salvini.
Il decreto non è privo di contraddizioni. Prendiamo il tema delle causali: io sono d’accordo, ma bisognerebbe riservare la nuova normativa ai contratti a termine che si stipulano a partire dalla data di conversione del decreto in legge, lasciando che i contratti in essere mantengano la vecchia normativa. Sarebbe stato comunque meglio rimandare la materia alla contrattazione. Considero, invece, molto negativo il fatto che, su spinta della Lega, si sia di nuovo intervenuti sui voucher: l’allungamento del tempo di comunicazione all’inps da 3 a 10 giorni è fonte di potenziale lavoro nero, il che è profondamente contraddittorio con un decreto che si chiama Dignità.