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Carlo Cipolla, geniale studioso di storia ed economia, ha scritto un avvincente volume intitolato Le avventure della lira, riedito dal Mulino nel 2012. La trama è complessa e difficile da riassumere. La sostanza sta nel fatto che questa lira, ossia libbra dal nome del peso romano da cui discendeva, non è mai esistita se non in teoria. Il denaro circolante era composto da monete d’argento che ne costituivano la duecento quarantesima parte. Per questo la lira sterlina inglese era divisa in venti scellini da dodici pence ciascuno, e continuò a esserlo fino al 15 febbraio 1971, definito Decimal- Day, ossia giorno nel quale il Regno Unito abbandonò la divisione tradizionale per cedere alla decimalizzazione di fastidioso sentore rivoluzionario se non addirittura giacobino.
Dev’essere a quel testo di Cipolla che si sono ispirati Matteo Salvini e i suoi consiglieri economici per proporre e difendere l’idea dei mini bot, con la loro natura ibrida e scivolosa, persino un po’ viscida, tipica del resto degli anfibi, famiglia di appartenenza elettiva dei mini bot. Sono infatti destinati a comportarsi come il denaro, senza esserlo, a nascere da buoni del tesoro, senza costituire debito, a camuffarsi da buoni pasto per sfuggire alla repressione da parte della BCE. Il loro punto di forza è che sono stati inseriti nel contratto di governo, senza che nessuno se ne accorgesse, e adesso qualcosa bisogna pur fare, prima che Zuckenberg se ne approfitti e rubi l’idea.
In realtà battere moneta sarebbe uno dei privilegi propri degli stati nazionali, insieme a esercitare la giurisdizione, gestire la politica estera e combattere le guerre. Le prime monete conosciute sono quelle in elettro di Creso di Licia, di poco precedenti ai darici d’oro persiani. Gli ateniesi imposero alle città tributarie le loro tetradracme d’argento, la cui civetta ancora campeggia sulla versione greca, salva per miracolo, delle monete da un euro, nella posizione occupata dall’uomo vitruviano su quella italiana. Per fortuna di guerre non se ne parla e politica estera se ne fa veramente poca, anche se sono in molti a viaggiare all’estero. Quanto ai tribunali, si sa che le grandi compagnie sovrannazionali hanno corti apposite per la soluzione delle loro controversie, con la straordinaria caratteristica di emettere sentenze in tempo molto brevi. Resta il battere moneta.
In effetti già Bossi aveva pensato a una valuta del nord, non sappiamo quanto per scherzo, e i collezionisti trattano monete da una e cinque leghe del 1992, un fior di conio può raggiungere i venti euro sul mercato. Le banconote con impresso il volto di Formentini o quello del fondatore del movimento valgono meno. Anche i Club Med hanno conosciuto la loro stagione imperialistica negli anni Sessanta, quando il denaro circolante sul loro territorio era costituito da collane di palline colorate. Erano gli anni nei quali in Italia la scomparsa degli spiccioli produsse l’emissione di centinaia di migliaia di mini assegni circolari del valore di cento e cinquanta lire, dei quali tutte le famiglie possiedono ancora qualche esemplare nel fondo dei cassetti dedicati alle cianfrusaglie. Insomma, i mini bot non vengono dal nulla e in fondo i loro precedenti tendono a renderci tranquilli.
Più preoccupante pare l’offensiva lanciata da Zuckenberg, che ha già raccolto intorno a sé aziende e marchi di tutto rispetto, ventisette in tutto: da Mastercard a PayPal a eBay. L’intento, come sempre nell’attività dei plutocrati, è quello di favorire la povera gente nel trasferimento del denaro, riducendo il costo delle operazioni. Con la garanzia della tutela della privacy, che non sarebbe la specialità di Facebook, la quale proprio per questo sarebbe lasciata ai margini dell’operazione.
Il denaro, si sa, è come l’acqua: passa dappertutto e non c’è modo di fermarlo. Lo dimostrano i bitcoin ideati da Satoshi Nakamoto, che nessuno sa chi sia, e che non sono propriamente moneta, anche se le assomigliano molto. Il problema resta lo stesso per tutte le superpotenze sovranazionali, che di solito sono americane o cinesi: la resistenza che manifestano di fronte alla prospettiva di pagare le tasse sui ricavi nei paesi nei quali essi vengono prodotti anziché in località dove si trovano le sedi legali e le aliquote fiscali sono ridicolamente basse. In effetti il diritto di imporre tasse sarebbe compreso nei poteri degli stati nazionali, che però hanno gravi problemi a esercitarlo quando si tratta di affrontare colossi delle dimensioni di Apple, Google, Facebook e adesso anche Alibaba o Wish. A rigore si tratta dell’area di attività privilegiata dell’Europa Unita, che utilizzando la forza comune dei paesi che la compongono dovrebbe essere in grado di fronteggiare qualsiasi gigante commerciale e da in po’ di tempo sembra persino intenzionata a farlo.
A meno che non si debba cominciare a occupare di mini bot, o di altre avventure previste dal contratto di governo delle quale non ci eravamo accorti.