«Guardi, nessuno vuole sminuire l’attività, quanto mai difficile e complessa soprattutto in questo momento, dei professori italiani», afferma la magistrata Gia Serlenga, giudice del Tar Puglia e presidente uscente dell’Associazione nazionale magistrati amministrativi, gettando così acqua sul fuoco a proposito delle polemiche degli ultimi giorni riguardo la vicenda che ha visto protagonista una ragazza che ha frequentato la prima media presso una scuola statale di Tivoli. La ragazza, al termine dell’anno scolastico, aveva riportato insufficienze in sei materie (geografia, francese, matematica, scienze, inglese e musica), di cui una grave, e gli insegnanti avevano quindi deliberato all'unanimità la sua bocciatura. I genitori della ragazza avevano allora presentato ricorso al Tar del Lazio, chiedendo l'annullamento del provvedimento. Il ricorso era stato accolto in quanto nel corso dell'anno la ragazza aveva avuto una frequenza regolare a scuola e il comportamento era stato buono. L'impegno, tuttavia, si era rivelato scarso e inadeguato, sia nell'esecuzione dei compiti che nello studio. Secondo il Tar, i professori, però, non avrebbero considerato il percorso della studentessa dall'inizio alla fine. L'alunna, dal primo mese di scuola fino al termine delle lezioni, aveva infatti visto incrementare le proprie conoscenze e migliorare i propri voti. E la scuola - sempre secondo il Tribunale amministrativo - aveva le sue responsabilità per non aver messo a disposizione sistemi di ausilio e di supporto per il recupero.

Dottoressa Serlenga, nell’opinione pubblica si fa sempre più strada l’idea che i giudici amministrativi vengano in soccorso di chi non ha voglia di studiare.

Non è affatto vero. La situazione è ben diversa.

Ci spieghi.

Se guardiamo con attenzione le statistiche per questo tipo di ricorsi, vediamo che la maggior parte di essi sono respinti. Quindi non è vero che il Tar “promuove” tutti i bocciati.

Però il problema si pone.

Certo. La prima conseguenza di questo erroneo messaggio che sta passando è il notevole aumento dei ricorsi in tale ambito. Negli ultimi anni si assiste a una loro costante crescita. Senza comunque voler entrare nel caso specifico, il discorso richiede però una riflessione.

Proviamo.

Diciamo che la bocciatura non sempre rappresenta la soluzione ai problemi scolastici dei ragazzi con deficit. Andrebbe ricordato che questi ricorsi, per la maggior parte, riguardano ragazzi che hanno delle disabilità, anche gravi.

Disabilità a cui la scuola non trova soluzioni idonee?

Esatto. La scuola deve organizzare dei corsi per aiutare questi ragazzi che non possono frequentare come i loro compagni, avendo problemi di apprendimento.

E le famiglie?

Il loro ruolo, ovviamente, è importantissimo. Non possono per tutto l’anno disinteressarsi di cosa fa il proprio figlio a scuola per poi accorgersi, quando le lezioni sono terminate, che è pieno di insufficienze. I genitori accedono al registro elettronico e quindi hanno costantemente sotto controllo la situazione.

Cosa manca secondo lei?

Il dialogo che deve essere costante. Tutti devono farsi parte diligente. E poi la scuola non deve essere punitiva. Ovviamente servono regole chiare per evitare possibili fraintendimenti. Come in questo caso, dove prima di esprimere giudizi è opportuno leggere la sentenza. Molte volte queste bocciature non sono affatto motivate. Sul caso era intervenuto nei giorni scorsi il ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, affermando che “al Tar spettano le verifiche sulle procedure, ma nel merito decidono i docenti”. E anche l'ufficio stampa del Consiglio di Stato e della giustizia amministrativa era voluto intervenire ricordando che i giudici avevano “rilevato un deficit di motivazione da parte dell'amministrazione scolastica, secondo quanto previsto dalla legge e dalle circolari ministeriali, e che essi hanno al contempo reinvestito il Consiglio di classe della valutazione in ordine all'ammissione dell'alunno alla classe successiva, nel pieno rispetto delle reciproche competenze istituzionali”.