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Dismette i panni ormai fuori moda di «avvocato del popolo», Giuseppe Conte. E indossa quelli, appena usciti dalla bottega del Quirinale, di premier di una nuova «stagione riformatrice». Vestito nero contro vestito blu notte, cravatta sempre puntinata ma con due fantasie diverse, soprattutto Paola De Micheli e non più Matteo Salvini alla sua destra: sono passati un anno, tre mesi e quattro giorni dall’esordio in Senato del Conte I, ieri il Conte II alla Camera ha dato sfoggio d’aver imparato qualche utile lezione d’equilibrismo. Punti di contatto tra i due discorsi sono pochi, se non l’incipit istituzionale di saluto e ringraziamento al deus ex machina del Quirinale. Sparito lo stupore ingenuo con cui si era presentato nel giugno scorso, da «cittadino senza pregresse esperienze politiche» che «in virtù dell’esperienza di studio e professionale maturata, si è dichiarato disponibile». Oggi, il premier si sente chiamato a «esercitare le funzioni di direzione e di guida della politica generale del Governo».Sparita soprattutto la retorica della forza del «contratto scritto di governo», ora è il tempo della «nuova stagione riformatrice», che non è «una mera elencazione di proposte eterogenee che si sovrappongono l’una con l’altra, né tantomeno è la mera sommatoria delle diverse posizioni assunte dalle forze politiche».Anche nell’illustrare il programma del nuovo governo - che perde il verde per tingersi di rosso - l’enfasi è tutta su nuove parole. Il «cambiamento» che connotava il precedente esecutivo trova spazio solo quando Conte accenna alla lotta contro il cambiamento climatico. La parola d’ordine ripetuta come un mantra, però, è un sinonimo: «novità». Conte teorizza un «nuovo umanesimo» e traccia il profilo di un governo «nuovo nella sua impostazione, nuovo nell’impianto progettuale,nuovo nella determinazione a invertire gli indirizzi meno efficaci delle azioni pregresse».Se quindici mesi fa il governo del cambiamento non era nè di destra nè di sinistra, a “tradire” la vocazione del nuovo esecutivo sono le parole fatte scintillare sapientemente da Conte qua e là. Già con la scelta dell’aggettivo «riformatrice» per la stagione appena aperta. Poi spuntano il «patto sociale», la citazione di un virgolettato del presidente socialdemocratico Giuseppe Saragat, la prospettiva di «crescita sostenibile», lo «sviluppo equo e solidale», il «coordinamento tra intervento pubblico e iniziativa privata», ma soprattutto «l’abbattimento delle tasse sul lavoro, il cosiddetto “cuneo fiscale”» e il «pagare tutti per pagare meno». Una strizzata d’occhio arriva anche agli inglesismi ( cari soprattutto alla galassia renzian- riformista): Conte teorizza un’Italia che diventi «Smart Nation» e sottoscriva un «New Green Deal» di rigenerazione urbana e sostenibilità energetica. Infine, nell’illustrazione del programma, Conte spolvera il veltroniano equilibrismo del «non solo, ma anche». Lotta alla clandestinità, ma attenzione ai processi di integrazione. Taglio dei parlamentari, ma “tenuta” della Costituzione. Lavoro, ambiente, giovani e infrastrutture. Poi asili nido, internazionalizzazione, digitalizzazione della Pa, messa in sicurezza del territorio e l’immancabile riforma della giustizia ( meno in evidenza e molto più sfumata, tanto da lasciar pensare che proprio qui si annidi uno dei punti più problematici dell’accordo). Se nel 2018 lo sconosciuto Conte si lambiccava in un lessico che ancora non era il suo, ingessato dalla rigidità del contratto di governo, oggi il due volte premier si lancia in voli pindarici, citazioni colte ed elenchi onnicomprensivi.Tutto sapientemente vago, tutto ammiccante al punto giusto verso i nuovi alleati di governo, che ancora si stanno annusando e i cui ministri siedono impettiti intorno a lui: questa volta i neofiti ( non tutti, ma quasi) sono loro. Lui, Conte ora diventato bis, è l’unico uscito davvero vittorioso dalle montagne russe del precedente esecutivo e dunque l’unico a saper portare il timone anche in acque agitate. Proprio in virtù di questa vittoria pazientemente tessuta, gli unici tratti chiari di questo governo stanno nella “forma”: «Dobbiamo essere sobri nelle parole e operosi nelle azioni», con una azione politica che abbia come parole cardine «equilibrio e misura, sobrietà e rigore», dice il premier Conte e ogni riferimento a Matteo Salvini è cercato è voluto. Archiviato il sovranismo arcigno e gridato, ora è il tempo del «governo dal volto umano» fatto di «giustizia ed equità» : a Conte il vestito nuovo calza a pennello e sembra anche piacergli molto. Se l’esperienza insegna qualcosa, però, c’è già chi in Parlamento ripete sospirando: la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.