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Ragiona senza fare sconti, nè al suo partito nè al governo. E, con la consueta lucidità, Gianni Cuperlo ammette che questo esecutivo è sì nato anche in ottica antisalviniana, ma che la sfida di diventare un governo popolare si può vincere. Però la vittoria si ottiene fuori dal Palazzo e «dentro la società, con il consenso che accompagnerà le scelte che prenderemo». Il governo giallorosso è partito: frutto di volontà, strategia politica o fortuna? Il governo nasce perché l’esperimento gialloverde è naufragato. Salvini ha voluto una crisi a ridosso di Ferragosto convinto di disporre a piacimento delle istituzioni, del calendario e della stessa iniziativa delle altre forze presenti in Parlamento. La sua è stata una mossa azzardata risoltasi in uno scalciare disperato. A quel punto c’erano due strade, entrambe legittime. Precipitare il Paese verso le urne ma in una situazione drammatica dell’economia e delle condizioni di milioni di famiglie, con una manovra da fare e l’aumento dell’Iva. Oppure verificare l’esistenza di una maggioranza diversa in grado di imbastire un nuovo governo per il resto della legislatura. Abbiamo scelto la seconda via. Ora la sfida è risultare credibili nella discontinuità che abbiamo richiesto. La convince questo esperimento di governo? L’esecutivo nasce in un modo e con tempi imprevisti ma nella chiarezza di non riprodurre lo schema di prima, con un contratto notarile a legare due programmi alternativi. Noi abbiamo indicato le nostre priorità, il Movimento 5 Stelle le sue e su quella base si è costruita una piattaforma di cose da fare, dal taglio del cuneo fiscale per rendere più pesanti le buste paga dei lavoratori a basso reddito a un piano di investimenti green. Per noi la sfida è riportare al centro bisogni primari: casa, scuola pubblica, il diritto a curarsi. Con tutto il rispetto per la tenuta dei conti la sinistra non può guardare solo ai mercati finanziari e allo spread. C’è discontinuità anche nella continuità del premier? Avevamo chiesto una discontinuità anche sui nomi, il Movimento 5 Stelle ha posto la riconferma di Conte come precondizione per discutere. Noi abbiamo preso atto di una prerogativa del partito che in Parlamento è maggioranza relativa. La critica che viene mossa sia al Pd che ai 5 Stelle è di essersi alleati dopo anni di insulti solo per impedire il voto e l’ascesa della Lega. C’è del vero? Se le dicessi che il rischio di una svolta autoritaria con una destra in grado di conquistare Palazzo Chigi e da lì la presidenza della Repubblica e le istituzioni di garanzia non ha avuto un peso mentirei a me stesso e a chi ci legge. Detto ciò, è curioso lo stupore di Salvini nel senso che non è prassi agevolare la strada ai propri avversari politici e noi non lo abbiamo fatto. Ora però la prova è mostrarsi all’altezza della responsabilità dando un segnale di svolta a partire da quel rispetto dei diritti umani, sempre e ovunque, che l’ex ministro dell’Interno per quindici mesi ha calpestato impunemente. Imputano al governo di essersi dimenticato del Nord, sia nei nomi dei ministri che nel programma. Da friulano, vede questo rischio? Lei mi perdonerà se le dico che non sono friulano ma triestino, del resto come il ministro Patuanelli: quindi almeno il Nord- Est è rappresentato... A parte il dettaglio, vedo i rischi dell’operazione su questo come su altri fronti e penso che da subito alcuni allarmi o pregiudizi vanno affrontati. Recuperare misure e incentivi di Industria 4.0, favorire le imprese che innovano, mettere al centro la ricerca e gli investimenti in un rapporto diverso con la nuova Commissione europea: la realtà è che il governo verrà misurato sui fatti. Uno dei primi argomenti sul tavolo del Consiglio dei ministri sarà la legge elettorale. Condivide il ritorno al proporzionale e il taglio dei parlamentari? Sul taglio dei parlamentari l’accordo prevede le garanzie costituzionali necessarie. Quanto al proporzionale faremo una discussione seria perché a nessuno sfugge che quel modello archivia le coalizioni prima del voto e incrina lo spirito che ha dato vita al Pd, primarie e vocazione maggioritaria comprese. Il passo successivo di questa alleanza potrebbe essere a livello territoriale: ci sono già state aperture. E’ possibile replicare nelle regioni quanto fatto a livello nazionale? Questo lo diranno il tempo e le scelte. Rispetto l’autonomia di regioni e realtà diverse, è un sentiero da esplorare senza la pretesa di mettere le brache al mondo. La vera sfida non è solo fare un governo, ma fare un governo popolare. E possibile con le condizioni date, e come? E’ possibile se accettiamo l’idea che questa sfida non si gioca e vince solo dentro il Palazzo ma nella società, nel consenso che accompagnerà azioni e scelte del governo. Il riformismo dall’alto lo abbiamo già conosciuto e ne abbiamo pagato il prezzo. Il Pd non rischia di diluirsi e quindi perdersi in questa alleanza? Il Pd va ripensato e ricostruito nella sua identità, nel modo di essere e funzionare, nella selezione delle sue classi dirigenti, nel legame col tanto di buono che vive fuori da noi. Il correntismo esasperato è la tomba di ogni ambizione di cambiamento perché cristallizza le posizioni e deprime il merito premiando fedeltà e obbedienza. Prima lo capiamo e mettiamo mano meglio sarà per tutti. Il sostegno pieno a Zingaretti mai come adesso deve puntare anche a questo.