PHOTO
«Il piano nazionale di riforma è un documento politico, non è il piano Colao, quindi doveva contenere l’elenco delle priorità», ragiona l’economista Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio dei conti pubblici dell’università Cattolica di Milano, che invece fissa in modo chiaro i tre interventi necessari per rilanciare l’Italia: «Opere pubbliche, riduzione della burocrazia e velocizzazione della giustizia civile». Professore, perchè nel piano le priorità non sono state fissate?
Non è cosa inusuale che i documenti politici non lo facciano, anche se dovrebbero. E’ una cattiva abitudine già vista: si fa un elenco di cose, ma quando ce ne sono troppe sul piatto senza una indicazione di da che cosa cominciare, il risultato è che poi le riforme non si realizzano.
Tra le carenze del pnr, lei individua anche il fatto che non si affronti il tema della giustizia civile.
Qualche cosa c’è, nella riforma che si sta discutendo, con cambiamenti nel rito. Potrebbe essere qualcosa di utile, ma nel piano manca un capitolo ad hoc sulla questione e questo, a mio modo di vedere, è un errore.
La questione della lunghezza dei processi civili non è di oggi. Lei quali iniziative ipotizza per cominciare a risolverla?
Innanzitutto è necessario scoraggiare i comportamenti volutamente dilatori. Poi è necessario considerare il tribunale anche come un’azienda: so che questo spaventa tanti, ma come gli ospedali sono organizzati in azienda ospedaliera, anche i tribunali dovrebbero essere considerati aziende che producono servizi. In questo modo si orienterebbero alla qualità del servizio reso, che comprende anche la questione della rapidità con cui vengono emesse le sentenze.
Bisognerebbe cominciare a valutare l’efficienza delle strutture?
A parità di codice di procedura civile, i tempi per arrivare a sentenza sono diversi da tribunale a tribunale e questo dimostra che alcuni sono efficienti, altri meno. L’idea dovrebbe essere quella di considerare l’elemento della rapidità tra le voci di valutazione per i magistrati. Dovrebbero venire fissati degli obiettivi chiari, monitorabili e condivisi in termini di riduzione dei tempi della giustizia, per poi verificare se vengono raggiunti. E’ la Costituzione a stabilire che i processi devono avere una velocità ragionevole, dunque una volta fissata la strategia ogni tribunale dovrebbe essere responsabile di raggiungere l’obiettivo della tempistica.
Il mondo della giustizia risponde al tema della velocizzazione chiedendo investimenti strutturali e non di rito, soprattutto volto ad aumentare il personale giudicante e amministrativo.
In tutte le aziende, quando sorge una problematica, la prima risposta è quella di pretendere maggiori risorse, tuttavia bisogna vedere con i dati se davvero la lentezza è dovuta una carenza di personale e noa una cattiva organizzazione. Se partiamo dai dati macroeconomici, l’Italia per la giustizia spende circa lo 0,4% del Pil, una cifra non inferiore rispetto agli altri paesi europei. Quanto al numero di magistrati, in Italia ce ne sono molti meno rispetto alla Germania, ma più o meno lo stesso numero di Spagna e Francia. La carenza vera è nel personale amministrativo, per questo tra i suggerimenti dell’Osservatorio che dirigo c’è quello di investire in personale amministrativo. Inoltre, si può anche ragionale di un investimento di risorse una tantum, per lo smaltimento degli arretrati, magari anche richiamando qualche magistrato in pensione in via temporanea e solo per questo scopo specifico.
Il suo Osservatorio ha anche proposto di aumentare i costi per l’instaurazione dei processi, suscitando molto scalpore tra gli avvocati.
La proposta, per altro inserita in un contesto più complesso che riguardava anche il potenziamento delle procedure stragiudiziali, è quella di adeguare il costo alla media europea. E’ chiaro che la giustizia è importantissima e l’accesso deve essere facile, noi abbiamo solo ipotizzato di vedere quali sono i costi nel resto d’Europa e di fare la media.
Se lei dovesse stilare un elenco delle priorità per l’intervento del governo, che cosa indicherebbe?
La priorità sono le riforme che fanno crescere di più economia. Per questo, oltre alla velocizzazione dei processi civili di cui abbiamo detto, credo si debba partire dagli investimenti pubblici: sono una risposta immediata a crisi attuale, perchè sono la forma di spesa pubblica con l’impatto più forte sulla domanda aggregata. Se lo Stato compra direttamente qualcosa, costruendo nuovo opere o ristrutturando l’esistente, questo denaro va direttamente in domanda. Se invece lo Stato trasferisce i soldi alle famiglie e alle imprese con i bonus, il rischio è che questi vengano risparmiati. Fino ad ora è stato giusto agire così nel contesto d’emergenza, ma ora servono misure espansive. Poi è necessario ridurre la burocrazia e riformare la pubblica amministrazione, spingendosi anche oltre il decreto Semplificazioni.
Giustizia, investimenti pubblici e burocrazia, quindi.
Questi tre elementi sono esattamente quelli che gli imprenditori considerano, per come vengono gestiti oggi, i principali disincentivi all’investimento privato in Italia. Di conseguenza è da qui che bisogna ripartire.
E’ fiducioso che il governo imbocchi questa strada, anche nel piano nazionale da presentare per ottenere il Recovery fund europeo, che comunque arriverà a fine anno?
Io do sempre il beneficio del dubbio, anche se il governo si sta oggettivamente muovendo con lentezza. Il Recovery Plan europeo è uno strumento fondamentale, proprio in direzione della solidarietà europea: l’entità centrale, che si indebita più facilmente, sostiene i paesi membri con una azione anticiclica. Il fatto che arrivi a fine anno non mi sembra affatto un problema: questa non è certo una crisi che si supera in pochi mesi, e comunque nel frattempo anche la Banca centrale europea sta intervenendo in modo importante.