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Dunque quel popolo infingardo, refrattario al rispetto delle regole, che si butta a capofitto nei supermercati al primo cenno di allarme per rimpinzare scansie di casa già stracolme e poi buttare il cibo scaduto, sprecandolo. All’improvviso diventa quel popolo che ascolta le disposizioni del governo, che si acconcia di buon grado a recepire lo shock sociale e l’isolamento, tutt’al più indossando - ma al pari di un vessillo - la mascherina sul viso non per nascondersi bensì come orgoglioso segno di accettazione dei vincoli dell’emergenza. Allo stesso tempo quel governo e quel premier, accusati - in verità non sempre a torto - di incompetenza e improvvisazione, irrisi e criticati tra pochette e bozze di decreto fatte filtrare per motivi sempre oscuri e sempre innominabili, incapaci di stabile una corretta catena di comando e perennemente all’inseguimento della realtà, poi quella stessa realtà si dimostrano capaci di afferrarla per le corna e in grado di domarla, come una remuntada imprevedibile e sorprendente. Rivolgendosi direttamente ai cittadini, riacquistando pezzetti di credibilità e autorevolezza non proprio trascurabili se perfino l’Oms deve riconoscere che nella pandemia l’Italia ha fatto bene e fa da esempio. Di medagliette vanesie non abbiamo bisogno ma di disciplina e compostezza sì. Sembravano merci introvabili e invece sono fuoriuscite dai ripostigli della coscienza nazionale, sgorgate quando meno te lo aspetti, invadendo le strade e le piazze lasciate vuote dai cittadini. Certo, c’entra molto la paura del contagio e l’ansia di volersi immunizzare. Però sprangare la porta di casa in questo caso non è sinonimo di egoismo: al contrario vale come rispetto di sé e degli altri. È troppo presto e magari velleitario cercare di capire se il Coronavirus ha modificato il carattere nazionale. Però è sicuro che qualcosa è cambiato e quando l’uragano sarà finito dovremo essere capaci di riprendere da dove abbiamo lasciato. Ricostruendo, sicuro: ma con un di più di consapevolezza. Istituzioni, politica, cittadini dovranno guardarsi negli occhi, scrutandosi. Perché sarà necessario modificare progetti e ambizioni, muovendosi su una mappa sociale ed economica che non è stata ancora disegnata. Nel suo ultimo messaggio tv, Giuseppe Conte si è detto sicuro che “torneremo ad abbracciarci”. Vero. Però forse non ci riconosceremo perché, almeno un po’, ci appariremo diversi da prima. E non è detto sarà un male.