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Il deputato del Movimento 5 Stelle Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia, e relatore del testo base elaborato per dare seguito alla sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato incostituzionale l’ergastolo ostativo, tiene a chiarire: «Non è nell’intenzione di nessuno sabotare l’orientamento della Consulta». E quando gli facciamo notare che forse è impresa impossibile per un detenuto dimostrare a suo solo carico la certezza di assenza di legami con la criminalità, replica: «In fase emendativa verranno chiarite certamente le perplessità interpretative emerse sulla locuzione “escludere con certezza”. Per me è un problema che non si pone».
Sull’accentramento delle istanze presso il solo Tribunale di Sorveglianza di Roma, aggiunge: «L’accentramento è una soluzione possibile che, in caso di proposte emendative in tal senso, verrà valutata, al pari delle altre. Vero è che comporterebbe ad esempio uniformità di giudizio».
Presidente, se da un lato il testo base è meno restrittivo rispetto a quello dell’onorevole Vittorio Ferraresi, è pur vero che resta l’allegazione a carico del detenuto, il quale deve escludere “con certezza” l’attualità dei collegamenti con l’organizzazione criminale nonché il ripristino degli stessi. Non le sembra di imporre al detenuto una condizione forse impossibile da rispettare?
Questa è una interpretazione del testo inesatta, anche se molto diffusa. Infatti, in perfetta coerenza con le argomentazioni della Consulta, si vuole prevedere una prova rafforzata, e cioè si chiede al detenuto un onere di allegazione di fatti e circostanze concrete che consentano, nell’ambito del procedimento di sorveglianza, di raggiungere la prova della effettiva rottura con la criminalità organizzata.
La previsione, quindi, è in linea non solo con la sentenza della Consulta 253/ 2019 e con l’ordinanza 97/ 2021, ma anche con la costante giurisprudenza di legittimità in tema di collaborazione impossibile o inesigibile. Non è certo intenzione del legislatore distorcere i principi dettati dalla Corte. In fase emendativa verranno chiarite certamente le perplessità interpretative emerse sulla locuzione “escludere con certezza”. Per me è un problema non si pone.
L’attuale presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, nel sollevare in qualità di giudice il dubbio di legittimità costituzionale, sul quale poi si è espressa la Corte costituzionale con la nota ordinanza 97/ 2021, scrisse: “L’esistenza di preclusioni assolute all’accesso alla liberazione condizionale si risolve in un trattamento inumano e degradante, soprattutto ove si evidenzino progressi del condannato verso la risocializzazione; e ciò perché, in tal modo, il detenuto viene privato del diritto alla speranza”. Lo spirito sotteso a queste parole è stato fondamentalmente accolto dalla Corte che, nel pieno bilanciamento tra rieducazione e sicurezza, apre alla liberazione. Lei condivide questo principio?
Quelle del presidente Santalucia sono certamente parole di grande spessore giuridico ed etico. Non dimentichiamo che il principio di bilanciamento è uno dei principi cardine del nostro ordinamento, cui anche il legislatore deve ispirarsi.
Piero Grasso, intervenendo all’Agorà organizzata dal Partito democratico, a cui ha partecipato anche lei, ha detto: “A mio giudizio la Cedu ha sottovalutato la peculiarità delle organizzazioni mafiose, e la Corte costituzionale, dovendosi muovere in quel solco, ha lasciato al Parlamento il tempo per intervenire”. Condivide questo pensiero, per cui la Consulta tecnicamente non poteva fare altrimenti?
Tecnicamente la Consulta avrebbe anche potuto pronunciarsi direttamente nel merito.
Invece, con la famosa ordinanza del maggio scorso, ha lasciato spazio e tempo al legislatore perché si possa intervenire organicamente senza smantellare l’impianto che ci ha consentito di tener testa alla criminalità.
Un altro punto cruciale di cui si discute è la possibile centralizzazione delle istanze presso il Tribunale di Roma. Nino Di Matteo è favorevole a questa previsione. Lei è d’accordo e quindi presenterete emendamenti in tal senso? E come replicherebbe a chi sostiene che si tratterebbe di una totale alterazione della giurisdizione di prossimità. Le preoccupazioni di Di Matteo in merito alla sicurezza dei giudici di sorveglianza dovrebbero valere allora anche per i giudici della cognizione: per lo stesso motivo si dovrebbero accentrare sull’ufficio Gip del Tribunale di Roma tutte le richieste di misure cautelari nei confronti dei mafiosi. Le stesse preoccupazioni dovrebbero valere per il giudice di primo grado che emette la condanna.
L’accentramento è una soluzione possibile che, in caso di proposte emendative in tal senso, verrà valutata, al pari delle altre. Vero è che comporterebbe ad esempio uniformità di giudizio, ma in ogni caso mi permetta di sottolineare che il giudice della cognizione ha funzioni diverse dal giudice dell’esecuzione e quindi non sono equiparabili.
Non ritiene che sia sbagliata la narrazione di chi sostiene che appoggiare la linea della Consulta significhi vanificare la lotta alla mafia?
Non condivido la narrazione a fazioni contrapposte e non intendo parteciparvi in alcun modo. La linea della Consulta non è certo tesa a vanificare la lotta alla mafia.
Presidente, il Movimento 5 Stelle è stato il primo, dopo la decisione della Consulta, a presentare una proposta di legge, dal titolo “Il nuovo ergastolo ostativo”. Senza timore di equivoci, il Movimento 5 Stelle vuole contrastare, sabotare l’orientamento della Consulta?
Ribadisco che non è nell’intenzione di nessuno sabotare l’orientamento della Consulta. Tutti hanno riconosciuto l’esigenza di un intervento legislativo che non comprometta le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva per contrastare il pervasivo radicato fenomeno della criminalità mafiosa, e la proposta del Movimento si inserisce con decisione e fermezza proprio su questa linea.