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Con cautela, allontanando misure di ambito regionale che sgretolano la coesione sociale. Col supporto dei tecnici. Accogliendo almeno in parte il grido di terrore degli imprenditori. Seguendo l’indicazione degli scienziati, ma con la consapevolezza che «non sfugge» la difficoltà degli italiani a continuare a rispettare le regole anticontagio. Sono i paletti che ieri in Parlamento, nella sede istituzionalmente più corretta, alla vigilia di un Consiglio europeo che si annuncia importante ma incredibilmente ancora una volta non decisivo, Giuseppe Conte ha posto per l’avvio della cosiddetta Fase 2, la “ripartenza” del Paese che comincerà il 4 maggio. Un quadro realistico, senza voli pindarici, senza strappi: lo scenario politico e soprattutto sociale è già abbastanza sfibrato da non sopportare stress aggiuntivi. Un esercizio, quello del presidente del Consiglio, opportunamente dimesso ma apprezzabile perché privo di alternative. Il percorso indicato dal premier allo stato è l’unico possibile: giusto prenderne atto. Come tuttavia è giusto e anzi doveroso avere contezza che le prove più difficili le abbiamo davanti a noi. Il contagio diminuisce ma non è debellato e chissà quando lo sarà. Nuove ricadute sono possibili. Bisogna ripartire ma la sicurezza sanitaria non è acquisita e il numero dei decessi resta intollerabile. Le abitudini, la nostra vita e il nostro essere comunità, dovranno mutare in profondità. Il quadro economico - l’altra faccia della pandemia - è agghiacciante. L’ufficio di Bilancio della Camera stima una caduta del 15 per cento del Pil nel primo semestre dell’anno. Un abisso che significa una cosa precisa: che a dicembre ci ritroveremo tutti più poveri. Che l’Italia - al netto della liquidità possibile infilata nelle tasche dei cittadini - subirà un downgrading, un declassamento nelle aspettative economiche e in quelle collettive. Risalire la china richiederà uno sforzo immane. Andrà tutto bene, è la giaculatoria che tanti ripetono: allo stato più per farsi forza che per intima convinzione. Ci attendono prove durissime: appunto, è giusto e doveroso saperlo. Le energie per centrare il traguardo le abbiamo: ce lo dice la nostra storia nazionale. Che però ci avverte pure che lo spirito della divisione, dei guelfi e ghibellini, su queste sponde non tramonta mai. Chi può ovviare a questo handicap? Nessuno. Solo noi. Quelli che siamo, così come siamo.