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Il 5 settembre scorso Giuseppe Conte presta giuramento al Quirinale, succedendo così a se stesso nella guida del governo. Erano trascorsi 14 mesi dalla nascita di un governo sorretto da una imprevedibile e disomogenea maggioranza politica parlamentare ( non decisa dalle urne ma fortemente voluta soprattutto dai due leader del Movimento 5 Stelle e della Lega). Due forze politiche divise su molte questioni ma unite da una forte ragione politica comune, quasi identitaria: l’antagonismo e l’avversione nei riguardi del PD.
Il Presidente del Consiglio che per tutta la durata del suo primo Governo ha fatto da collante tra Movimento 5Stelle e Lega si trasforma, il 20 agosto, in un implacabile accusatore del leader leghista, nonché suo vice nell’esecutivo, aprendo ad un ribaltone, realizzato in tempi rapidi: dentro il PD e LeU ( e poi Italia viva, nata da una scissione del PD) e fuori la Lega.
Giuseppe Conte diventa così l’undicesimo presidente del Consiglio capace di succedere a se stesso, dopo personalità come Alcide De Gasperi, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Mariano Rumor, Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Giovanni Spadolini, Bettino Craxi, Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi. Molti commentatori ed esponenti politici hanno ricollegato questa ennesima continuità alla guida del governo ai numerosi episodi analoghi accaduti nella storia repubblicana, collocandolo nella fisiologia della politica e citando come esempio Giulio Andreotti per aver presieduto, in fasi diverse, governi con i liberali, monocolori con l’astensione e poi il voto di fiducia anche del PCI, nonché i governi del pentapartito.
A differenza dei predecessori succeduti a loro stessi, Giuseppe Conte riesce in un’operazione ancora più spettacolare: non era mai accaduto che un Presidente del Consiglio si “auto avvicendasse” alla guida del governo, sostenuto da una maggioranza politica in cui fanno il loro ingresso forze ( PD e LeU) che fino al giorno prima erano antagoniste, non solo rispetto al partito che è passato all’opposizione ( la Lega) ma rispetto alla formazione maggioritaria nell’ambito della vecchia e della nuova alleanza politica ( il Movimento 5 Stelle).
Ci riesce superando le difficoltà di avvicinamento tra due forze apparentemente inconciliabili, le difficoltà di definizione del programma di governo e di scelta delle persone della squadra; per avere successo, si è accreditato come “indipendente” rispetto alle forze che componevano la nuova maggioranza, come figura terza anche rispetto al Movimento 5 Stelle, che pure già lo aveva indicato quale Ministro per la Pubblica Amministrazione, la deburocratizzazione e la meritocrazia nella squadra di governo presentata da Luigi Di Maio subito prima delle elezioni del 4 marzo 2018.
L’operazione è talmente difficile e per di più così veloce che il nuovo governo nasce prematuro e gracile: quando inizia a camminare, lo fa vacillando ogni giorno, senza acquistare equilibrio con il passare dei giorni ( almeno finora).
Il precedente esecutivo era nato dopo settimane di sfibranti trattative finalizzate alla stesura di un “contratto”; il nuovo nasce in pochi giorni ( Giuseppe Conte riceve l’incarico il 29 agosto; il 5 settembre presta giuramento).
Nell’attesa che il futuro disveli le capacità di durata del Governo Conte II, uno sguardo al passato conferma comunque l’eccezionalità di quanto avvenuto tra l’agosto e il settembre di quest’anno.
Nei 48 anni di durata della cosiddetta Prima Repubblica si sono avvicendati 51 Governi ( se consideriamo anche il primo Governo De Gasperi, in carica il 2 giugno 1946) e 20 Presidenti del Consiglio. La sua storia è segnata da diverse fasi politiche: dagli iniziali Governi di unità nazionale del CLN al centrismo, dalla gestazione del centrosinistra al centrosinistra organico, dalla solidarietà nazionale ( passando per il governo delle astensioni) al nuovo centrosinistra e quindi al pentapartito, per concludere con il governo “tecnico” di Ciampi.
Ogni fase è stata spesso caratterizzata da cicli di Governi presieduti consecutivamente dal medesimo Presidente del Consiglio, che vanno dai più di 7 anni di De Gasperi ( 1946- 1953), ai quattro anni e mezzo di Moro ( 1963- 1968), dai 3 anni e 8 mesi di Craxi ( 1983- 1987) ai 3 anni di Fanfani ( 1960- 1963) e di Andreotti ( due volte: dal 1976 al 1979 e dal 1989 al 1992).
Già i nomi citati evidenziano la costante e ininterrotta presenza del partito della Democrazia Cristiana nel governo, alla cui guida i suoi esponenti si sono cimentati per oltre 40 dei 48 anni e ininterrottamente per i primi 35 anni dal 1946 al 1981.
Un tratto comune delle personalità che dall’inizio della Repubblica sono state riconfermate alla guida del Governo è nel loro ruolo di leader politici di primo piano del proprio partito, quando non addirittura segretari. Forse, tra tutti, Francesco Cossiga, all’epoca della sua riconferma a Palazzo Chigi, era la figura meno di spicco tra quelle citate. Il suo spessore sarebbe però emerso nelle vicende successive, a conferma che la permanenza a Palazzo Chigi ha sempre richiesto una storia politica personale e una capacità di manovra non improvvisati. Accadrà altrettanto a Giuseppe Conte?
Fin qui ci siamo occupati dei Presidenti del Consiglio succeduti a se stessi, segnalando come Giuseppe Conte sia stato l’undicesimo della serie, dopo personaggi del calibro di Alcide De Gasperi, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Mariano Rumor, Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Giovanni Spadolini, Bettino Craxi, Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi.
I recordman in questa particolare specialità sono senza dubbio Alcide De Gasperi e Giulio Andreotti. De Gasperi è succeduto ben 7 volte a sé stesso, nell’incarico di Presidente del Consiglio, tra il 1946 e il 1953. Il lungo ciclo di governo si può suddividere in un primo periodo ( fino al maggio 1947) di Governi espressione del Comitato di Liberazione Nazionale, che includeva socialisti e comunisti, e in una seconda, più lunga fase, fondata sull’alleanza della DC con i piccoli partiti laici ( PRI- PLI e PSLI), insieme o alternativamente: è il cosiddetto centrismo. Salvo la delicata fase del maggio 1947, De Gasperi ha sempre ottenuto l’immediato reincarico dopo le sue dimissioni. Lo statista trentino, anche dopo la vittoria della DC nelle elezioni del 18 aprile 1948, volle comunque che l’autosufficienza democristiana in Parlamento non si trasformasse in solitudine al governo e promosse sempre la collaborazione e l’inclusione dei partiti minori di centro nell’esecutivo.
Amintore Fanfani guidò consecutivamente due Governi, fra il 1960 e il 1963, traghettando il Partito Socialista, tra il terzo e il quarto Governo a sua guida, dall’area dell’astensione alla inclusione nella maggioranza attraverso l’appoggio esterno, preludio dei successivi Governi di centrosinistra organico presieduti da Moro.
Aldo Moro ha mantenuto la presidenza del Consiglio in due periodi: nei Governi che inaugurarono il centrosinistra organico, tra il 1963 e il 1968, e in quelli tra il 1974 e il 1976, che segnarono la fine di tale esperienza come concepita nel decennio precedente. Gli avvicendamenti alla guida del Governo, in entrambi i periodi, sono giustificati dagli aggiustamenti che Moro apporta nella maggioranza e nei programmi: nel primo ciclo per rafforzare la coalizione, nel secondo per cercare inutilmente di tenerla in piedi.
Anche Mariano Rumor ha presieduto una serie consecutiva di brevi governi: tra il 1968 e il 1970 e tra il 1973 e il 1974. Entrambi i periodi furono caratterizzati da forti scontri sociali, da un aspro confronto tra i partiti di Governo sui temi programmatici e dai contrasti sulla legge sul divorzio, all’esame del Parlamento in quel periodo. Quegli anni furono inoltre funestati dalle stragi più gravi del periodo della strategia della tensione. L’abile conduzione di Rumor si fondava sul susseguirsi di Governi di coalizione e monocolore DC, con un uso delle dimissioni finalizzato ad evitare un eccessivo deteriorarsi dei rapporti tra i partiti.
Il record dei cicli di governo con permanenza consecutiva a Palazzo Chigi è naturalmente detenuto da Giulio Andreotti: per tre periodi ha mantenuto la Presidenza del Consiglio. La prima volta nel 1972- 1973, quando, dopo un Governo monocolore DC che non ottenne la fiducia delle Camere e che gestì sostanzialmente la fase elettorale, fu riconfermato alla guida di un esecutivo centrista con liberali e socialdemocratici.
Nuovamente alla guida del Governo tra il 1976 e il 1979, prima con il cosiddetto Governo “delle astensioni” o della “non sfiducia” e successivamente col Governo di solidarietà nazionale, sempre monocolore DC ma con la fiducia di Pci- Psi- Pri e Psdi, fino al Governo Dc- Pri- Psdi con Ugo La Malfa Vicepresidente del Consiglio, che non ebbe la fiducia del Parlamento e portò il Paese a nuove elezioni.
Andreotti ripeté infine l’esperienza alla guida del governo tra il 1989 e il 1992, con due esecutivi di pentapartito e di quadripartito che hanno gestito la delicata fase delle ripercussioni sul nostro Paese del crollo del muro di Berlino, accanto alla trattativa e alla firma del trattato di Maastricht e ai tentativi di controllo della spesa pubblica e del deficit. A ulteriore testimonianza del peso del personaggio sta il fatto che tra l’inizio del primo ciclo e la conclusione dell’ultimo sono trascorsi venti anni in cui Andreotti ha mantenuto una collocazione di primo piano nello scenario politico. Francesco Cossiga fu protagonista di un doppio mandato consecutivo alla guida del governo tra il 1979 e il 1980, al termine dell’esperienza della solidarietà nazionale. Il passaggio dal suo primo esecutivo al secondo segnò il rientro del Psi nel governo. Giovanni Spadolini presiedette, tra il 1981 e il 1982, due esecutivi identici nella composizione politica e nella compagine, tanto che vennero definiti “governi fotocopia”. Sostanzialmente il passaggio dal primo al secondo mandato del leader repubblicano può essere derubricato al livello di una crisi mancata. Bettino Craxi guidò consecutivamente due governi tra il 1983 e il 1987. La crisi del 1986 fu risolta con il cosiddetto “patto della staffetta”, che prevedeva che Craxi mantenesse Palazzo Chigi fino alla primavera 1987 per poi cedere la guida del governo a un Dc.
Per concludere: nei 48 anni di durata della cosiddetta Prima Repubblica ( dal 1946 al 1994) si sono avvicendati 51 Governi ma soltanto 20 Presidenti del Consiglio, dieci dei quali capaci di succedere a se stessi. È l’ennesima conferma della continuità nella precarietà dei governi.
Gli ultimi 25 anni sono stati caratterizzati da un alternarsi di Governi di centrodestra e di centrosinistra con brevi parentesi di Governi tecnici, fino al 2018. Si sono avvicendati 16 Governi e 10 Presidenti del Consiglio, due dei quali ne hanno marcato la storia più degli altri: Romano Prodi e Silvio Berlusconi.
Prodi è stato l’unico esponente di coalizioni a estensione variabile ma riconducibili al centro- sinistra a sconfiggere elettoralmente le coalizioni di centro- destra guidate da Silvio Berlusconi, sia nel 1996, sia nel 2006. È stato quindi a capo del governo per un totale di quasi quattro anni e mezzo, prima tra il 1996 e il 1998 e, a distanza di dieci anni, tra il 2006 e il 2008.
Silvio Berlusconi ha guidato l’esecutivo a tre riprese: tra il 1994 e il 1995, per circa 8 mesi, primo Presidente del Consiglio della Seconda Repubblica; tra il 2001 e il 2006; per altri tre anni e mezzo, tra il 2008 e il 2011. Il suo secondo governo ( 11 giugno 2001- 23 aprile 2005) detiene tuttora il record di durata dei governi repubblicani: 1.412 giorni, equivalenti a 3 anni, 10 mesi e 12 giorni. Non solo: è riuscito anche a succedere a se stesso, per formare il suo terzo governo, durato poco più di un anno, dopo una rapida crisi pilotata che si è risolta in tre giorni e che ha visto confermata la stessa maggioranza, con alcune modifiche nella compagine.
Nella Seconda Repubblica, soltanto il suo acerrimo nemico e potenziale, mancato alleato Massimo D’Alema ( chi ricorda il “patto della crostata”?) è riuscito a succedere a se stesso, nel dicembre 1999, quando la crisi nacque dalla mancata intesa per un rimpasto di governo nella variegata maggioranza formatasi nella legislatura che ha avuto il maggior numero di migrazioni tra gruppi parlamentari all’interno degli schieramenti e trasversalmente ad essi.
Massimo D’Alema è stato anche il primo e unico esponente del Partito Comunista Italiano ( allora già disciolto) a guidare il governo; è stato anche il primo Presidente del Consiglio nato dopo la fine della seconda guerra mondiale. Dopo di loro, è riuscito nello stesso intento soltanto Giuseppe Conte. Abbiamo scritto che la prima Repubblica si contraddistingue per continuità di indirizzo politico pur nella precarietà dei governi: tale continuità è confermata dall’alto numero di presidenti del consiglio capaci a più riprese di succedere a se stessi, pilotando i governi attraverso diverse formule politiche e coalizioni, fino ad includere nella maggioranza il Partito Comunista, ma senza eccessivi scossoni, dando l’impressione di dipanare un filo unitario di storia. La seconda Repubblica si caratterizza invece per i frequenti mutamenti di indirizzo politico, non solo tra le legislature ( con l’alternanza tra coalizioni di centro- sinistra e di centro- destra) ma anche nella stessa legislatura. La XVI legislatura, iniziata con il Governo Berlusconi, sostenuto dal centro- destra, si conclude con il Governo Monti, nato in piena emergenza economico- finanziaria e per questo sostenuto da quasi tutti i gruppi politici, ad eccezione della Lega e dell’Italia dei valori. La XVII legislatura ha vissuto attraverso mutamenti nella coalizione di maggioranza e l’avvicendarsi di tre Presidenti del Consiglio ( Letta, Renzi, Gentiloni) La XVIII legislatura, ed è storia in divenire, è nata con un governo giallo- verde per passare ad un governo giallo- rosso, guidati dallo stesso Presidente del Consiglio, capace di succedere a se stesso. Da qui eravamo partiti.
Secondo gli esperti di moda, il giallo, che contraddistingue il movimento forse più orgogliosamente isolazionista nella storia repubblicana, si sposa con tutti i colori: vedremo se nel futuro avremo nuovi, imprevisti, spericolati accostamenti e se Giuseppe Conte ne sarà ancora l’abile orditore.