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Il ministro della Giustizia Bonafede e il premier Conte
Era stata facile profezia, almeno per la prima parte. Il Senato ha rigettato la mozione individuale di sfiducia al Guardasigilli Alfonso Bonafede. Matteo Renzi ha votato col resto della maggioranza. Della serie: non poteva che finire così. La seconda parte è più ostica: tolto l’ostacolo di mezzo, il governo e il titolare della Giustizia sono più forti e possono camminare con passo più spedito? Più forti perché un inciampo è stato rimosso, certamente. Quanto alla speditezza, il discorso cambia. Senza andare troppo per il sottile, diciamo che sul tappeto ci sono tre impossibilità, tutte di forte spessore, tutte insuperabili e tuttavia una delle tre “costretta” a trasformarsi in via obbligata. Bel rompicapo. La prima impossibilità sta nel fatto che il governo Conte così com’è sia in grado di affrontare la bufera recessiva alle porte. Occorrerebbe che la coalizione 5S-Pd diventasse assai più coesa, con un progetto-Paese condiviso, con valori e obiettivi allineati. La seconda impossibilità concerne la versione opposta: ossia la caduta di Conte e l’arrivo a palazzo Chigi di Mario Draghi. Per verificarsi, questa eventualità necessita di un harakiri giallorosso che, come dimostra anche il voto di ieri, è lungi dal compiersi. Ma poi il governo Draghi dovrebbe poter contare su un supporto politico-sociale solido, cementato da un idem sentire nei confronti dell’Europa e dei conti pubblici. Più una suggestione che una concreta realizzabilità. La terza impossibilità concerne lo sbocco naturale delle democrazie quando lo scenario politico si ingarbuglia fino a diventare inestricabile. E’ la strada elettorale. Che da noi è sbarrata non solo per motivi politici ma anche procedurali. Anche se nei giorni scorsi sussurri retroscenistici dal Quirinale hanno fatto intendere che il capo dello Stato è pronto allo scioglimento nel caso in cui il governo finisse in default, è complicato immaginare uno showdown in assenza di una legge elettorale e con un referendum sul taglio dei parlamentari da svolgere che, se approvato, renderebbe le nuove Camere precarie e delegittimate fin dal nascere. Bene, e dunque? Dunque le tre impossibilità marciano compatte a braccetto. Spazzano via - a volte meglio a volte peggio, ma non importa - ogni ostacolo che si frappone sul loro cammino. Eppure una delle tre per l’inerzia stessa della situazione è giocoforza destinata a tramutarsi in realtà. Quale, ce lo dirà l’autunno. Sempre che il Paese superi l’estate più autoctona di sempre.