PHOTO
Il filosofo Massimo Cacciari
Il Pd prosegue la sua marcia verso il congresso. Dopo aver sfiorato l’implosione sulla proposta di voto online avanzata da Elly Schlein, poi evitata con una soluzione di compromesso, i quattro candidati Stefano Bonaccini, la stessa Schlein, Paola De Micheli e Gianni Cuperlo, sono in piena campagna elettorale in vista dell’appuntamento del prossimo 26 febbraio.
Il Pd ci arriverà assai debole, con i sondaggi a sfavore, e dopo avere incassato il risultato delle elezioni regionali in Lombardia e Lazio fissate per il 12 febbraio. Il rischio è che lo scontro tra i candidati, con un partito fragile come non mai, possa portare a ulteriori scissioni, anche se tutti gli aspiranti segretari non fanno altro che negare una possibilità del genere. Altro spauracchio è quello di una bassa affluenza ai gazebo che non sarebbe certo un ottimo biglietto da visita per la segreteria che andrà ad insediarsi dopo la gestione affidata a Enrico Letta.
Una segreteria che avrà il compito di rifondare il partito, considerando che il congresso da questo punto di vista pare avere mancato l’obiettivo, e di ripensare l’azione politica e la strategia delle alleanze. Il filosofo Massimo Cacciari non è per nulla tenero con i dem.
Professore, che idea si è fatto del percorso congressuale fin qui seguito dal Pd?
Guardi, a me non sembra per nulla un percorso congressuale, ma una discussione ristretta all’interno dell’oligarchia del partito volta a stabilire chi sostituirà Enrico Letta alla guida.
La questione del voto online ha rischiato di far implodere il partito. La soluzione trovata è stata parziale e, anche per questo, c’è chi teme una scarsa partecipazione alle primarie?
Ma davvero possiamo pensare che il voto online o ai gazebo possa essere un problema davvero rilevante per gli elettori e per gli italiani? La discussione alla quale abbiamo assistito è stata ridicola. Un eventuale flop alle primarie ci sarà per assenza di reali temi di discussione tra i candidati che non hanno neanche idea di come fare un’opposizione degna di questo nome al governo di centrodestra. Di questo si sarebbero dovuti e si dovrebbero occupare e non certo delle modalità di voto alle primarie.
Che differenze individua tra le proposte politiche dei quattro candidati alla segreteria? Chi la convince di più? Sì ovviamente delle differenze ci sono. A mio parere la proposta politica più elaborata e identitaria è quella di Gianni Cuperlo. Per il resto gli altri si stanno limitando solamente a dire che c’è bisogno di novità. Bonaccini lo fa in generale, mentre Elly Schlein è convinta di potere apportare novità in quanto candidata donna.
Altro tema che sta scaldando il partito è il possibile rientro degli ex di Articolo 1. Sarà un bene per il Pd?
Questo non glielo saprei dire. Evidentemente hanno ancora voglia impegnarsi in politica e fare qualcosa, ma credo che sia indifferente ai fini del congresso.
Un congresso che si limiti a una resa dei conti interna potrebbe esasperare i contrasti tra le varie anime e portare a una nuova scissione?
E che senso avrebbe una scissione? Se hanno intenzione di dividersi le rovine possono anche farlo, ma non servirebbe ad altro. La verità è che manca chiarezza all’interno del partito, una chiarezza che si sarebbe dovuta fare all’inizio dello scorso decennio. All’epoca si sarebbe dovuto optare tra una scelta latu sensu socialdemocratica e una subalterna a logiche liberiste. Si è preferito non fare nessuna scelta e da allora c’è stata soltanto una grande confusione, ma quello sarebbe stato il momento giusto.
Il congresso, però, avrebbe potuto rappresentare un momento rifondativo anche per provare a rimediare a questo stato di confusione che descrive…
Il congresso non ha nulla di rifondativo. Stiamo osservando le stesse dinamiche e ascoltando gli stessi discorsi che hanno portato all’elezione di Nicola Zingaretti che, dopo pochissimo tempo, è andato via descrivendo un partito che gli faceva schifo.
In qualche modo però bisognerà ripartire se non si vuole correre il rischio dell’irrilevanza. Come?
Da un punto di vista politico credo che l’unica speranza concreta per il Pd sia che, in un periodo di tempo breve, si arrivi al collasso del governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni. La caduta dell’attuale esecutivo potrebbe portare alla formazione di nuovo governo delle larghe intese, sorretto da una grande coalizione in cui ci siano dentro sia il Pd che Forza Italia. In questo modo potrebbero tornare al governo, che è l’unica cosa che sanno fare.
Lo vede come uno scenario concreto nel breve periodo?
Di certo si vedono molte avvisaglie che possono fare pensare a un’ipotesi di questo tipo. Le ultime tensioni tra Forza Italia e Fdi, ad esempio, lasciano pensare che Silvio Berlusconi sia sempre più propenso a mollare Giorgia Meloni. Il che darebbe nuove speranze ministeriali agli uomini del Pd.
Eppure non mancherebbero i temi su cui sviluppare il dibattito politico e assumere posizioni nette. A cominciare dalle riforme legate ai temi del presidenzialismo e dell’autonomia differenziata…
Ma certamente non mancano i temi di discussione, soltanto che ci troviamo davanti all’opposizione più conservatrice del mondo. Sul presidenzialismo non assumono posizione e vogliono soltanto che rimanga tutto fermo. Stessa cosa sull’autonomia: dicono di no, ma non propongono un’alternativa federalista coerente con i principi costituzionali. Praticamente sanno dire soltanto di no in un’ottica esclusivamente conservatrice e neanche nel senso di una politica di destra.
Vede anche una responsabilità delle altre forze di opposizione M5S e Terzo Polo?
In realtà no. Gli altri partiti stanno facendo il loro difendendo i propri cavalli di battaglia. I Cinque Stelle, in particolare, con la difesa del reddito di cittadinanza sono stati premiati soprattutto al Sud. Certo si tratta di politiche assistenziali difficilmente realizzabili e non certo di politiche adatte ad un governo reale.
Per aspirare a tornare forza di governo, però, ci sarebbe necessità di una diversa politica delle alleanze…
Un’opposizione così divisa difficilmente potrà diventare una coalizione di governo. Tuttavia bisogna vedere cosa succederà alle prossime elezioni regionali di febbraio. Soprattutto in Lombardia si dovrà seguire il risultato che otterrà Pierfrancesco Majorino che è sostenuto sia dal Pd che dal M5S. Se Majorino dovesse fare il miracolo allora difficilmente si potrebbe non considerare indispensabile l’alleanza e si aprirebbe un percorso completamente diverso.