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La pazienza, Treccani alla mano, è «la disposizione d’animo ad accettare e sopportare con tranquillità, moderazione, rassegnazione». Basterebbero queste poche battute per spiegare quanto quel termine sia assolutamente inadatta alla fase politica attuale. Macché, Confucio non abita sotto le Alpi Se la politica è frettolosa e inconcludente
La pazienza, enciclopedia Treccani alla mano, è «la disposizione d’animo ad accettare e sopportare con tranquillità, moderazione, rassegnazione, senza reagire violentemente». Basterebbero queste poche battute per spiegare quanto quel termine - pazienza - sia assolutamente inadatta alla fase politica attuale e, soprattutto, alle convulsioni all’interno della maggioranza. Non c’è nulla di tranquillo e moderato nel dibattito sulla prescrizione, sulle concessioni o sulle tasse; non c’è rassegnazione nel rilancio continuo a colpi di tweet e post; non c’è accettazione e sopportazione della diversità nelle posizioni dell’altro.
C’è, in compenso, un eccesso di reazioni violente, di toni aspri, di interventi scomposti. Un copione al quale nessuno dei protagonisti sa, vuole e può sottrarsi. Non c’è spazio per la pazienza di Confucio nella politica italiana e ogni accenno in quella direzione appare paradossale. Figurarsi se a farlo è il leader italiano che, più di ogni altro, ha fatto della velocità e dell’impazienza una potente arma di lotta politica. Non c’è momento nella carriera di Matteo Renzi che si associabile alla pazienza: non nel rapido ( e, per certi versi, inaspettato) passaggio dalla presidenza della Provincia alla poltrona di sindaco; non nella scalata vorticosa al vertice del Partito Democratico; non nell’approdo a Palazzo Chigi.
Ma se questi esempi sono momenti tratti dalla storia del renzismo rottamatore e vincente, è anche la cronaca recente - decisamente più appannata rispetto al passato - a restituirci l’immagine ossimorica del Renzi paziente: la velocità di reazione alla crisi del Papeete è da manuale della guerra lampo applicata alla politica; l’uscita dal Pd a poche ore del giuramento dei sottosegretari del Conte 2 è, piuttosto, un caso di impazienza che sconfina nella fretta.
Ma anche Giuseppe Conte, soprattutto nella versione bis, è tutto fuorché un leader paziente. Il presidente del Consiglio, anche come forma di reazione alla falsa partenza del suo secondo esecutivo, ha più volte ceduto al vizio della politica italiana: l’annuncite. In politica estera - con il cortocircuito diplomatico sulla Libia nel giorno del mancato incontro con Serraj e del faccia a faccia con Haftar - e sulla giustizia - l’avventato annuncio a inizio gennaio del vertice decisivo sulla prescrizione, risoltosi con l’ennesima certificazione dello stallo - gli scivoloni più evidenti. Ma soprattutto negli ultimi giorni, con la tensione salita a livello di guardia nella coalizione di governo, il presidente del Consiglio ha decisamente messo da parte ogni cautela, alimentando i retroscena che lo vedevano in prima linea alla ricerca di pattuglie di responsabili per tenere in vita il proprio esecutivo.
Un’impazienza che, oltre a esporre Palazzo Chigi a repentini comunicati di smentita, ha spinto anche il Quirinale a esporsi per frenare voci e illazioni.
E gli italiani? Davanti al duello Renzi/ Conte giocato a colpi di interviste, penultimatum mascherati e messaggi in codice mandati attraverso i giornali quanta pazienza avranno? Lavoratori, partite Iva e imprenditori aspettano riforme e interventi capaci di invertire il pessimo tragitto intrapreso dalla nostra economia come gli ultimi dati Istat - peraltro registrati al netto degli effetti negativi del Coronavirus - certificano. Scuola e università aspettano risorse e le famiglie attendono misure capaci di sollevare la propria condizione, magari offrendo prospettive per il futuro a una generazione che stenta a vederlo. L’elenco delle aziende in crisi è così lungo che dovrebbe essere l’assillo costante dell’intera classe politica che, al contrario, si mostra appesa all’ultima polemica. La sensazione è che il deposito di fiducia dei cittadini sia limitato, che l’insofferenza verso una politica urlata e sterile sia forte, che la richiesta di un cambio di passo e di un salto di qualità che sappia portarci oltre la lite quotidiana sia sempre più evidente.
Se veramente le forze di governo vogliono incarnare l’alternativa al sovranismo, se veramente Renzi e Conte vogliono contendersi il ruolo di riferimento di quell’Italia moderata e non arrabbiata devono necessariamente modificare il proprio registro. Quel pezzo di Paese è stanco di polemiche, toni urlati sullo sfondo di un preoccupante e pericoloso immobilismo. E se proprio al pensiero di Confucio si vuole attingere, meglio farlo andando a prendere un altro adagio del pensatore asiatico: «Chi si modera, raramente si perde». Altrimenti quella parte d’Italia, bloccata da questo sterile duello, guarderà altrove dopo aver pensato… pazienza.