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Questa settimana, con l’elezione dei presidenti delle Commissioni parlamentari, può cominciare finalmente l’attività di Camera e Senato. La XVIII legislatura, così, può togliere il cellophane dagli scranni e dalle moquette di palazzo Madama e di Montecitorio e, anche se si sente ancora il maleodore della naftalina, sappiamo che con l’uso e il frequente calpestio quel tanfo sarà destinato ben presto a scomparire. Sarebbe interessante verificare se questa lunga pausa dai lavori parlamentari, cominciata a dicembre, ha dei precedenti nella storia costituzionale italiana. Penso proprio di no. Comunque accade, come in ogni partenza, che s’aggrumino i buoni pro- positi di palingenesi generale, ben presto destinati ad infrangersi con l’impatto fragoroso della quotidianità. Proviamo, allora, a fare qualche modesta proposta anche noi, ponendo risolubili questioni, forse non palingenetiche, ma sicuramente utili alla causa di un miglior funzionamento del paese. In rapida sintesi: 1. Si può essere stati a favore o contro la grande riforma costituzionale renziana, ma una cosa è certa: avremmo bisogno di un qualche restyling istituzionale, eccome. Cominciamo, allora, con le cose non controverse: le province, per esempio. La cosa peggiore è lasciare le cose a metà e, dopo la riforma Del Rio, le Province sono rimaste a bagnomaria, come costosissimi reperti di archeologia istituzionale senza manco il beneficio rivitalizzante di una visita guidata. 2. Discorso analogo per il Cnel, infilatosi velocemente sotto il tappeto dopo anni di critiche feroci ad un monumento dedicato al pensiero corporativo.
3. Ne abbiamo già parlato, ma val la pena ritornarci: va abolito l’anacronismo del voto ai venticinquenni al Senato, mentre la maggiore età è a diciott’anni. Tra Camera e Senato scompaiono circa quattro milioni e mezzo di elettori. Che senso ha, allora, se non quello del alterare i risultati tra le due camere? Mistero.
4. Se i primi tre interventi richiedono una legge costituzionale, con tutti i gravami previsti dal l’art. 138 della Costituzione, la riforma dei Regolamenti delle Camere si può fare all’interno delle singole Assemblee. Nella passata legislatura Montecitorio lavorò parecchio sulla riforma, producendo un impianto forse ambizioso, sicuramente utile oggi, come base di partenza per riprendere il discorso. Ed anche il Senato si impegnò sul tema. Basterebbe riprendere da lì, da “dove eravamo rimasti”, per fare una buona riforma che restituisca il senso del nuovo che aleggia nelle aule parlamentari, chiamate forse ad un “di più“di controllo sull’Esecutivo, in un tempo in cui l’attività legislativa appare quasi totalmente confiscata dai governi.
5. E poi c’è la solita legge elettorale. La metto p. m., per memoria, come si iscrivono alcune poste in bilancio. E non perché non sia urgente e non vada fatta adesso, in un tempo ragionevolmente lontano dal voto, ma perché per farla occorrerebbe una volontà politica vigorosa, di maggioranza ma anche di opposizione. Che forse non è alle viste.
6. La regolamentazione del conflitto d’interessi. Forse la cosa non è nota ai più, ma la Camera nel febbraio del 2015 approvò una riforma del conflitto d’interessi molto articolata e ricca di riferimenti alle più avanzate leggi europee. Poi si bloccò tutto al Senato. Sembra che il tema abbia interessato in campagna elettorale il M5S. Nelle ultime settimane se ne sono perse le tracce. È il caso di ripensarci, tenendo conto di quel che avviene sul versante degli intrecci pericolosi in politica, locale e nazionale.
La lista, naturalmente, potrebbe continuare. Ci fermiamo qui, alle questioni che riguardano le regole del gioco e che chiamano in causa maggioranza e opposizione. Su alcune ci sono, da sempre, convergenze larghissime. Su altre le convergenze sono necessarie. Insieme alla volontà. L’importante è uscire dalla sindrome della campagna elettorale.