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Un Paese che ognuno dei vicini chiama in modo diverso ha evidentemente un’identità complessa e almeno due volti.
Mi capitò di pensarlo tanti anni fa passando in pochi chilometri dalla brutalità di Buchenwald alla bellezza , appena sgualcita dal tempo, di Weimar.
Del resto anche lì si trovano affiancati i ricordi di Nietzche e di Goethe, della repubblica che cercò di ricostruire anche giuridicamente un volto nuovo alla Nazione e della sua fine cupa.
Quando ero ragazzo la Germania aveva il volto da attore di Willy Brandt , la bonarietà di Kohl e Franz Josef Strauss , le gambe della Kessler e il braccio al collo di Beckenbauer che continuava a giocare a calcio con classe infinita, nonostante tutto. Ma quella non era la Germania ; era la sua parte occidentale, l’Allemagne dei francesi.
Costituita dai regioni cattoliche e da zone protestanti del nord dove si parla un dialetto simile all’inglese e si è sempre stati in stretti rapporti con gli inglesi ( tanto da fornirgli un Re al momento del bisogno nel 1700 ) la Germania Ovest era l’espressione più sorridente della nazione tedesca, quella caciarona dell’Oktoeberfest e delle vacanze sull’Adriatico.
Ma la Germania profonda , quella di Bismark e ora della Merkel, stava dall’altra parte del muro, acquattata e prigioniera come noi in questa quarantena, ma pronta a ritornare. La Merkel viene da Schwerin, una bella cittadina del Mecklemburgo ( un nome che incute timore anche tradotto) sui bordi di un lago pulito più che in Svizzera, vicino a un mare, il Baltico, che fa paura anche se è calmo, tanto è freddo e grigio.
Studiando dopo la laurea a Rostock, noi sparuti studenti stranieri rimanevamo colpiti dalla innata distanza sociale tra le persone sui tram, silenziosi anche nelle ore di punta.
Quella della Merkel e della Von der Leyen è la Germania di Lutero e di Kant, che ha sempre vantato con orgoglio di stare lontano da Roma e che vede il suo spazio vitale o la sua affinità elettiva, verso Est, dove sono le Repubbliche Baltiche ( che a Berlino guardano da sempre come tutore e difensore ) e la pianura sarmatica, dove come diceva Adenauer «arriva dritto il vento freddo della Russia».
Questa Germania non è più quella gentile che ospitava il Parlamento in mezzo a una piccola città renana, in un palazzo discreto che dava la sensazione di non voler dare nell’occhio , ma è una Nazione fiera che ha ricostruito possente il Bundestag facendo della Sprea una specie di Potomac e ridando vigore e forza ai palazzi che si affacciano grandiosi e imponenti sulla Unter den Linden. Uno Stato così forte e una nazione a trazione berlinese , sono troppo lontani dal Mediterraneo per averne interesse e compassione.
Oltre tutto la classe dirigente attuale non ha più nemmeno quella cultura classica e spesso neppure quella fede cristiana della precedente, che era l’esile filo di sutura tra Nord e Sud del continente.
Dobbiamo avere il coraggio di guardare alla Germania non come l’abbiamo conosciuta o sognata, ma per come è. Un piccolo esempio è il nostro lavoro di avvocati: non è semplice per un legale italiano operare anche sporadicamente in terra teutonica. Non è solo questione di lingua o di diversità di norme; è questione di approccio mentale. In Germania la procedura penale non è accusatoria, ma è un rito, sostanzialmente inquisitorio, dove lo spazio di manovra dell’avvocato è strettamente delimitato dai rigidi paletti di un un’interpretazione rigorosa delle norme e dalla limitazione dell’argomentazione dialettica orale, che viene vista quasi come un pericoloso artificio, una seduzione latina, da cui star in guardia. Ne sa qualcosa un mio caro amico e collega che ha provato a dimostrare che il suo cliente che conservava, insieme alla nuova, una vecchia patente finta nel portafogli, solo per non buttare via la foto dei suoi diciotto anni.
Per i giudici tedeschi anche la nostalgia della gioventù è un reato. Chissà forse siamo noi troppo sentimentali , ma comunque le vecchie foto io le conservo. Il confronto con il passato, anche se impietoso, è sempre utile.