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Ho cercato di capire quanti fossero 40 milioni di euro, ma non mi sono raccapezzato bene. A occhio e croce dovrebbero essere circa tre volte quello che io posso guadagnare in tutta la mia vita. Sebbene io sia una persona benestante.
Oppure, cambiando il tipo di statistica, sono una cifra sufficiente a pagare lo stipendio, per un anno intero, a circa la metà dei dipendenti dello stabilimento Fiat di Mirafiori. E l’altra metà? Per pagare anche l’altra metà dei dipendenti bisognerebbe ricorrere allo stipendio vero e proprio di Marchionne. Quello fisso. Che non si capisce esattamente quale sia ma, scartabellando qua e la le pagine del web, pare che – tra una cosa e l’altra - sia vicino ai 50 milioni. Forse un po’ di più. Quindi, una volta liquidate le spettanze a tutti i dipendenti, resterebbero circa 10 milioni risicati risicati per Marchionne.
I cinque Stelle vanno sempre ripetendo quella fesseria un po’ insensata: uno vale uno. Che poi, giustamente, non applicano. La Fiat ha messo a punto quest’altra equazione, leggermente diversa: Sergio vale 5000. Oppure: Sergio vale tutti.
Non vorrei che queste mie frasi scherzose vi facessero pensare che sono una pauperista e che voglio l’appiattimento sociale e cose del genere, come i vecchi socialisti di una volta. No: sono per premiare il merito e non mi sogno nemmeno di negare il valore del mercato. Per carità. È chiaro che il lavoro di Marchionne ( che tutti dicono essere davvero eccellente) vale, per la Fiat, molto molto di più di quanto possa valere il lavoro di un ottimo operaio. Che vuol dire “molto molto”? Non so, io penserei 10, o magari 100. Però devo confessare che non mi verrebbe mai in mente l’idea che possa valere 5000 volte di più. Uno dei grandi capitalisti italiani, cioè uno di quelli che fece risorgere l’economia italiana dal disastro della guerra, aveva stabilito che nella sua azienda il massimo dell’oscillazione degli stipendi fosse da uno a cinque. Se l’apprendista guadagnava 100 mila lire al mese, il direttore generale poteva arrivare al massimo a mezzo milione, che allora era una bella cifra, credo che corrispondesse più o meno a 5000 euro di oggi. Questo capitalista si chiamava Adriano Olivetti, non era uno sconosciuto. E inventò parecchie cosucce. Se i suoi eredi ( economici) non avessero fatto un po’ di fesserie, probabilmente oggi l’Olivetti sarebbe più in alto della Apple e di Microsoft, perché Olivetti, quando l’informatica ancora era alla preistoria, era già vent’anni avanti a tutti.
Vabbé, lasciamo stare Olivetti. Che purtroppo morì nel 1960, un paio d’anni prima di Enrico Mattei, che anche lui era bravino e diede una spinta mica da niente all’economia italiana ( anche lui guadagnava l’equivalente di non più di 10mila euro al mese). E ammettiamo che nella nuova configurazione dell’economia capitalistica - che è molto lontana da quella precedente a Reagan, cioè agli anni 80 - il concetto di gerarchia e la rigidità del mercato hanno portato a una esasperazione nel premio ai vertici, alle eccellenze. Del resto Gianni Rivera guadagnava cinque milioni ( di lire) al mese, cioè più o meno 10 mila euro di oggi, mentre - chessò – Leonardo Bonucci, che non vale neanche un decimo di Rivera, oggi di euro al mese ne prende, credo, circa mezzo milione. 50 volte di più. Vedete che la sperequazione estrema non è una cosa che riguarda solo i grandi manager ( sospetto peraltro che Marchionne guadagni almeno 500 volte più di Vittorio Valletta, che pure, mezzo secolo fa, guidava la Fiat con qualche successo).
È così e non c’è niente da fare. La differenza tra la vetta e la base della piramide sociale è diventata abissale. Ma il problema non è quello di protestare per gli eccessi della vetta. Semplicemente bisognerebbe ragionare su due cose. Primo: esistono politiche fiscali che possano aiutare a ristabilire un’idea minima di giustizia sociale? Secondo: visto che è indubbio che negli ultimi dieci anni il grado dello sfruttamento dei lavoratori – autonomi e dipendenti – è incredibilmente aumentato, spingendo verso la soglia della povertà settori sempre più ampi di ceto medio e persino di professionisti, è giusto o no porsi il problema di come porre un freno a questa tendenza?
Io penso che alla seconda domanda bisogna rispondere senz’altro si. La politica non può lavarsene le mani. Ha tanti strumenti in mano per dare qualche regola al mercato. Deve usarli. Convincersi che se lascia mano libera al mercato e alle grandi potenze economiche, salta il patto sociale. Sto parlando degli operai, naturalmente, e dei disoccupati, ma anche del ceto medio e di una moltitudine di professionisti. Lasciati in balia del potere della Finanza.
E alla prima domanda mi verrebbe da suggerire una maggior progressività delle aliquote fiscali. Possibile che chi guadagna un milione all’anno – o anche dieci, o cento – paghi la stessa quota di chi guadagna 80 o 90 mila euro?
Ponendomi questo interrogativo, e ricordandomi che un vecchio ministro delle Finanze ( si chiamava Vanoni ed era democristiano) aveva portato oltre il 70 per cento l’aliquota per i ricchissimi, mi sono chiesto: se anche noi applicassimo l’aliquota del 70 per cento ( come fece per un breve periodo anche Hollande, in Francia) quanti soldini potrebbe raggranellare lo Stato solo con le tasse di Marchionne?
Beh, la risposta è sconsolate: zero. Perché Marchionne non paga le tasse in Italia. Si è inventato che lui è svizzero. E pensare che solo le tasse di Marchionne ( anche senza cambiare l’aliquota) se arrivassero all’erario varrebbero il doppio di tutto quello che possiamo risparmiare tagliando i vitalizi, oppure abolendo il Senato. Eppure tutti parlano dei vitalizi, e dicono che sono una cosa indegna, e che li paghiamo noi col sudore della fronte e cose così. Delle tasse di Marchionne invece non frega nulla a nessuno. Che volete che vi dica: onestà, onesta, onestà!