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Parla l’onorevole di Fratelli d’Italia Chiara Colosimo, presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.
In questi giorni si parla molto di suicidi in carcere. Cosa ci restituiscono le storie di quelle due donne morte nel carcere di Torino?
Il suicidio è un dramma che aggiunge dolore alla morte stessa. Quelli in carcere, poi, sono la sconfitta di un sistema, una sconfitta ciclica, giro i penitenziari dal 2010, avevo 23 anni. Ogni estate da allora alcuni si accorgono del problema carcerario, ma è una situazione che esiste anche d’inverno.
Secondo Antigone il sovraffollamento è al 121%. Inoltre “in tantissimi istituti mancano i ventilatori, le finestre sono schermate, non ci sono frigoriferi in cella e a volte neanche nelle sezioni e in molti casi in cella non c’è neanche la doccia”. La soluzione proposta da Nordio di utilizzare le caserme dismesse non sarebbe tardiva rispetto all'emergenza generale in corso?
La stessa associazione Antigone ha scritto: “8% dei detenuti ha diagnosi psichiatriche gravi, 22% assume antipsicotici o antidepressivi, 44% sedativi o ipnotici”. Sposo appieno la “cura” Delmastro che sta parlando con le comunità terapeutiche per immaginare una misura ad hoc per i detenuti tossicodipendenti. È ovvio che il perenne disagio deve portare a una riflessione politica generale; sono già stati stanziati 84 milioni dal governo Meloni all’aumento del personale di polizia penitenziaria - che voglio ricordare fa un lavoro importante e delicatissimo - , e se necessario anche nuove strutture come ipotizzato dal ministro Nordio.
Lei parlando di Messina Denaro ha detto che non dobbiamo dimenticare la sua portata criminale ma neanche escludere la compassione per un uomo malato. Il suo avvocato ci ha detto: "Lo Stato ha vinto quando lo ha arrestato, perderebbe se gli negasse il diritto alla salute". È d'accordo?
Nel modo più assoluto, no. L’avvocato mente sapendo di mentire, infatti Messina Denaro è curato e sono stati garantiti al detenuto, che ricordo essere non un semplice boss, tutti i diritti garantiti dalla nostra Costituzione e dal nostro ordinamento giuridico. L’avvocato forse si è distratto. O forse, ancora una volta, qualcuno cerca di mettere in discussione il 41 bis? Il 41 bis non si tocca.
Condivide la distinzione del professor Fiandaca tra “una antimafia laica, quella dei principi costituzionali del garantismo penale” e un’altra “dogmatica che in nome di Falcone e Borsellino, impropriamente elevati a divinità tutelari, respinge come turbatio sacrorum ogni possibile critica ai processi gestiti dai magistrati delle generazioni successive”?
Respingo al mittente il processo che continua da un po’ e che tende a spaccare l’antimafia. L’antimafia esiste grazie alla lotta ed al sacrificio di Falcone e Borsellino, se dovessi iscrivermi a una corrente mi iscriverei a questa, perché non può esserci antimafia senza misure di prevenzione e le spesso dimenticate misure di sorveglianza. Il declino di Cosa Nostra è merito loro, l’arresto di Messina Denaro, l’ultimo debito che avevamo in sospeso con quella storia. Detto questo, basta con le patenti di antimafia doc; tenendo fermi principi e norme sacrosante dobbiamo auspicare una generazione di magistrati che con lo stesso fervore combattono l’emergenza di oggi, che si chiama ’ndrangheta e narcotraffico, che ci porta fino alla Tripla Frontera, tramite accordi transnazionali e piattaforme digitali evolute.
Lei ha annunciato al Foglio che a settembre aprirà un filone investigativo sulle verità storiche delle stragi di mafia, partendo da quella di via D’Amelio. Crede che l'indagine su mafia-appalti sia la strada giusta per decifrare i massacri dell'estate del 1992?
Sì. Ho questa convinzione, ma al netto delle mie convinzioni penso sia il filone fin qui meno esplorato. Non so e non voglio dire se volontariamente. Ma certo è nostra volontà rispondere ad alcune domande rimaste fin qui tali. Prendo spunto dalla domanda precedente: non sarà che il turbatio sacrorum vale solo per alcuni magistrati ed alcuni processi? Ho le stesse domande che si fanno i figli di Borsellino e l’avvocato Trizzino e vorrei provare a trovare risposte, sui verbali del Csm e su quei famosi 57 giorni, perché se qualcuno in quel “nido di vipere” ha tradito si sappia.
Come è maturata la sua decisione di non voler spiattellare la black list degli impresentabili alle elezioni?
Chiariamoci, non esiste niente di peggio di un politico che finisce in un’indagine per mafia. Ma che senso ha elencare a uno o due giorni dal voto una black list? A liste consegnate, a campagna elettorale svolta, per altro a preferenze magari? Ve lo dico io, nessuno. Credo due cose. La prima, poco utilizzata, è il controllo preventivo. Dico ai partiti: datemi i possibili candidati, li controlliamo così se davvero sono impresentabili non li candidati proprio. La seconda: bisogna essere inflessibili con alcuni reati, di mafia appunto, ma anche contro la PA, ma non confonderli con altri reati che non hanno lo stesso peso. Lo dico con casellario e carichi pendenti illibati e avendo dovuto usare le denunce contro le istituzioni quando le interrogazioni non sono bastate. Credo nel ritorno della politica; e la politica deve prendersi le sue responsabilità. Se scegli di candidare un “impresentabile” sapendolo te ne assumi le responsabilità davanti ai tuoi elettori, ma credo anche nella capacità di scelta dell’elettore, che deve sapere, ma non a campagna elettorale svolta. No alla gogna tardiva, sì alla selezione a monte.
Come ha vissuto le polemiche sulla questione Ciavardini? I parenti delle vittime di mafia e terrorismo sono stati molto duri nei suoi confronti.
Ho subito detto e ribadisco che ne sono profondamente dispiaciuta e che le polemiche mi hanno ferita profondamente. Ho letto qualsiasi cosa su una donna nemmeno 40enne che non ha niente a che fare con la Strage di Bologna, non solo perché non era nata, ma perché per educazione ricevuta ripudia ogni forma di violenza. Spero che il mio lavoro li porti a ricredersi, certamente da parte mia nessuna chiusura. Lasciatemi aggiungere, alla luce del dibattito odierno sulla condizione carceraria e la piena applicazione dell’articolo 27, che auspico che valga per tutti però.
Adriano Sofri ha scritto: “I sentimenti di giustizia delle vittime, sole o associate, devono ricevere il riguardo sincero e non ipocrita della legge. Ma non sono la legge, né la sua fonte d’ispirazione. Quando provano un desiderio di punizione, rivendicano un carcere più duro, pensano alla galera come a un luogo di espiazione, hanno torto, il più umano dei torti, ma torto. Chi, nel mondo politico, se ne fa un alibi in favore dell’afflizione carceraria e dell’inerzia sul ruolo del carcere ha torto, il più losco dei torti”. Concorda?
Mi sarebbe piaciuto leggere questa affermazione in relazione alle polemiche a cui faceva riferimento prima. Il carcere duro è fondamentale e non discutibile. La certezza della pena è garanzia per i sentimenti di giustizia delle vittime e per la riabilitazione del condannato. Sto leggendo in questi giorni “A colloquio con Gaspare Spatuzza”, me l’ha consigliato Padre Maurizio, Parroco della Chiesa San Gaetano, non credo che senza quella solitudine dovuta anche alle misure detentive saremmo arrivati alla stessa collaborazione e conversione. Non condivido il peloso buonismo di chi dice che c’è differenza tra chi vuole giustizia e chi vuole durezza, come le famiglie delle vittime: le due cose non sono in conflitto anzi, non si può cambiare, non ci si può riabilitare se non si riconosce l’infame mostruosità di quanto si è fatto, infliggere una pena non vuol dire uccidere. Vanno rotti i legami e pagati i debiti, per andarsene da ogni parte (e riconquistare la libertà perduta).
Parlando della decisione della Consulta sull'ergastolo ostativo, il pm antimafia Stefano Musolino ci disse: “Continuare a ragionare in termini emergenziali di lotta alla criminalità organizzata è ormai antistorico. La mafia è un fenomeno cronicizzato che deve essere affrontato con una legislazione che tenga insieme le ragioni della sicurezza sociale, insieme ai diritti dei soggetti coinvolti nei processi. Questo è il nuovo equilibrio invocato dalla Corte Costituzionale che è anche una sfida culturale”. Che ne pensa?
Non condivido affatto. E in parte ho già spiegato perché nella domanda sull’antimafia dogmatica. Primo, se una cosa dura per un lungo tempo, non vuol dire che non sia emergenziale. La lotta alla criminalità organizzata è un’emergenza, costante per carità, non solo per i motivi più noti, ma anche solo per il Pil sommerso che fa circolare. Secondo, l’ergastolo ostativo è stato il primo provvedimento del governo Meloni, proprio perché riteniamo che la legislazione antimafia non sia da relegare a un periodo storico ma una reazione imprescindibile dello Stato. Non vorrei che si arrivasse al paradosso della mafia che si difende dallo Stato. Questa sì che sarebbe una catastrofe.