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paracadutista della folgore
ALESSANDRO PARROTTA*
La riapertura e il ripristino di 30 sedi giudiziarie chiuse a seguito della riforma Severino del 2013 era uno dei punti contenuti nel contratto stipulato tra Lega e Movimento 5 Stelle. Con l’ormai inevitabile fine di tale esperienza di governo decadono anche quegli accordi. La revisione della geografia giudiziaria, in particolare, aveva trovato posto in una prima versione della riforma messa a punto dal ministro della Giustizia Bonafede e poi bocciata dal leader della Lega Salvini. Si tratta in ogni caso di un intervento da tempo avvertito come una priorità soprattutto dai professionisti.
E che sarebbe dunque auspicabile venisse ripreso sia nel caso in cui l’attuale legislatura proseguisse, sia qualora si tornasse alle urne. Come esempio delle disfunzioni prodotte dalla chiusura di decine di Palazzi di Giustizia si potrebbe citare il caso di Alba che, come ricordato dagli esponenti del mondo forense schieratisi, all’epoca, contro la sua soppressione, era il quarto in Piemonte per volumi di attività, preceduto solamente da Torino, Novara e Alessandria. Va notato come Alba, sede di importanti realtà industriali e bancarie, sia uno dei pochissimi comuni italiani che possa vantare un bilancio d’esercizio positivo, senza perdite. ù
E se si analizzano i dati, salta subito all’occhio la - sconcertante - percentuale di Palazzi di Giustizia chiusi nel 2013: solo in Piemonte furono soppresse 7 sedi su 17, una percentuale del 41%; nella provincia di Cuneo, una delle più floride e fiorenti a livello nazionale per produttività, la percentuale si attestava al 75%. A livello nazionale il tasso scende al 18% ( 30 sedi su 265 totali). Sono dati che han fatto fin fa subito riflettere sull’opportunità di quelle scelte.
Peraltro, la contraddizione in termini della riforma del 2013 risiede nel fatto che, sempre prendendo spunto dall’esperienza albese, il Palazzo di Giustizia piemontese nel 2012 fosse stato inserito nella classifica dei Tribunali virtuosi, quelli che avevano diminuito in modo significativo i propri carichi pendenti.
Oggi, a seguito della chiusura di tutte queste sedi, vi sono Palazzi di Giustizia il cui carico di procedimenti da affrontare è obiettivamente superiore alle risorse. Trasferire magistrati e personale amministrativo nelle sedi più importanti è stato ed è tuttora difficile. Ed è anche per tali motivi che non si è verificata l’auspicata razionalizzazione del sistema giustizia. Peraltro, se non si intervenisse con una contro- riforma, si proseguirebbe nel solco di una desertificazione – sia dal punto di vista sociale che economico – dei centri coinvolti nella chiusura. Processo che si traduce anche nelle conseguenze subite da decine di migliaia di avvocati, innanzitutto nel penale, ambito in cui la svolta telematica fatica a manifestarsi.
avvocato, direttore Ispeg - Istituto per gli studi politici, economici e giuridici