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Non è un caso che due giornalisti esperti di internet e dei suoi trabocchetti siano usciti quasi in contemporanea con un libro che ne denuncia i limiti. Christian Rocca ha pubblicato Chiudete internet (edito da Marsilio) e il cacciatore di fakenews David Puente Il grande inganno di internet (edizioni Solferino). Non sono due bacchettoni che auspicano il ritorno al passato, al tempo che fu, quando non c’era internet e tutto, ma proprio tutto, andava bene. Né sono moderni luddisti che vogliono spaccare tutto.
Sono due esperti che con i nuovi linguaggi hanno a che fare quotidianamente e proprio per questo lanciano l’allarme e si interrogano su come difendersi, come recita il sottotitolo del libro di Puente, ora tra i redattori di Open. online, la nuova avventura giornalistica di Enrico Mentana, che firma anche la prefazione.
Puente si concentra sul tema delle fakenews, su quelle bufale - si diceva un tempo - che stanno avvelenando il pozzo della comunicazione social e del giornalismo. Ci aiuta a capire come decostruirle, come risalire a chi le produce e perché. «Cui prodest?», è infatti la sua domanda.
Viviamo un tempo in cui internet è entrato a far parte della nostra quotidianità. Non c’è parte della vita - on line e off line - che non sia condizionata dai suoi meccanismi. Non sicuramente la politica, non il populismo o il sovranismo, processi complessi che senza i social non sarebbero però comprensibili. La crisi della rappresentanza, la disintermediazione, l’hate speech, le aggressioni che diventano pane quotidiano del confronto, l’odio per il diverso: sono tutti temi che attraversano la modernità e che vanno risolti al più presto.
Ma non si può fare, sottolineano giustamente Rocca e Puente, se non capiamo e affrontiamo il mondo del web. «Le innovazioni - scrive Rocca - le devi governare». «La sfida del nostro tempo è quella di trovare un modo di regolamentare le grandi piattaforme digitali, come si è fatto in passato con i mezzi di comunicazione di massa e con le telecomunicazioni, o con l’energia e le infrastrutture, altrimenti non ci saranno più rimedi contro la fine del mondo...».
E’ un impegno che non possiamo rinviare, la sfida del presente, anche e soprattutto per chi fa politica. O si affronta questo tema o non ne usciamo vivi. Del resto nel passato è stato così. Anche con le altre rivoluzioni industriali ( e questa lo è) o si reagiva come i luddisti o si subiva il cambiamento, oppure - ed è quello che vorremmo fare noi - bisogna governarlo. «Oggi le radio e le televisioni scrive ancora Rocca - vivono grazie a concessioni governative, operano sotto regolamenti antitrust, sono obbligati a fare servizio pubblico».
Lo stesso, sottolinea, andrebbe fatto per internet, invece non accade. Ma se non lo si fa, se non si capisce il grave rischio che stiamo correndo, tanto vale - è la “modesta proposta” di Rocca - chiudere internet. Dire basta. Arrendersi. Una provocazione, che Rocca aveva già lanciato quando era direttore de “Il Magazine” del Sole 24ore, e che oggi sembra ancora più attuale. Pregnante.
Eppure c’è qualcosa che resta fuori. E siamo noi. La cultura che abbiamo introiettato, quello che siamo diventati. Internet ci è talmente entrato dentro, ci ha talmente cambiati, che non basterebbe - anche se è necessario - regolamentarla.
La sfida che va parimenti lanciata è quella culturale. La società del rancore, ora vero e proprio odio, descritta dal Censis, corre parallela al web: se ne nutre, si rafforza sui social, succhia il sangue di internet ma poi agisce nella realtà, sfoga nella vita reale il rancore accumulato.
Prendiamo le fakenews e il filo sottile che le separa dal modo di fare informazione oggi. Tutte le fakenews sono cattiva informazione, ma non tutta la cattiva informazione è una bufala. Un esempio è costituito dal tema del processo mediatico che qui sul Dubbio abbiamo sviscerato e continueremo a farlo: non sempre si tratta di false notizie, ma di notizie date male, di un linguaggio che invece di chiarire, confonde, istigando le persone all’odio, ai processi sommari, alla gogna. Non basta regolamentare.
E’ necessario disinnescare un meccanismo ormai troppo ben oliato, smontare un linguaggio ormai diffuso, pensare i diritti fuori dalla logica dei confini, della discriminazione. Non è facile. Ma necessario.
Altrimenti la provocazione di Rocca diventa una realtà e oltre a chiudere internet, si chiude tutto, arrendendosi alla barbarie.