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Un moderno Gavroche saltellerebbe oggi tra le barricate non canticchiando ' La faute est à Voltaire, la faute est à Rousseau' ma ' La faute est à Di Maio'. La colpa è di Di Maio. Parli con il Pd e sono fulmini e saette sull'ammaccato ministro degli Esteri. Chiacchieri con i 5S e apriti cielo: vengono giù a raffica anatemi contro il ' leader politico'. Apri la tv e sono proprio i giornalisti più vicini all'M5S a indicare il poveraccio come causa di quasi tutti i mali.
Luigi Di Maio, sia chiaro, di errori ne ha commessi davvero a mucchi e sin dall'insediamento del governo gialloverde è stato evidente che gli era stato affidato un compito molto superiore alle sue forze. Ma di qui a farne il capro espiatorio per la sfilza di sbagli inanellati dal Movimento e per l'incapacità di decollare del governo ce ne passa. O ce ne dovrebbe passare.
Sul giovanotto piovono accuse di ogni tipo, quasi sempre contraddittorie. Non sa tenere le redini di un Movimento che di conseguenza è ormai un cavallo pazzo. Esagera in autoritarismo e si comporta da padre padrone, o meglio di figlio primogenito padrone perché di padroni il Movimento ne ha avuti due soli, il comico e la buonanima. Tra i due la testa politica era dello scomparso e da quando non c'è più la differenza si vede. Di Maio era succube di Salvini. Di Maio non è abbastanza condiscendente con Zingaretti. Si è venduto l'anima accettando lo scudo penale sull'Ilva.
Si è calato le braghe accettando che venisse eliminato lo scudo penale sull'Ilva. Più che un leader, Luigi Di Maio è un parafulmine. Il canale di acque nere buono per ogni rancore.
In realtà, i limiti personali di ' Gigino', indiscutibili, sono il riflesso di quelli del Movimento in generale. Andrebbe inoltre dimostrato che ad aver sbagliato analisi sia lui e non chi lo ha telecomandato nei passaggi cruciali.
Il capo d'accusa più pesante, infatti, è quello di non palpitare davvero per il governo in carica, di non mostrare per il Conte reincarnato lo stesso entusiasmo che tracimava ai tempi del Conte originale. Probabilmente è vero. Che questo governo sia stato subìto a naso storto da Di Maio, come del resto da Zingaretti, è un fatto. Più che ricorrere alle categorie abusate del disfattismo e dell'intelligenza col nemico, converrebbe però chiedersi se, con tutta la sua conclamata inesperienza, l'ex vicepremier non ci avesse visto più lungo del suo capo e degli scafati politici di lungo corso che il governo giallorosa lo hanno invece fortissimamente voluto.
I fatti, per la verità, sembrano dare più ragione al reprobo che ai sapienti. Gli inciampi del governo non sono dovuti alla sua riottosità: sono in tutta evidenza conseguenza di un limite strutturale e la stessa scarsa fiducia in Matteo Renzi è stata confermata dalla scissione pianificata dal ragazzo di Rignano ancora prima che il governo prendesse davvero forma.
È certamente vero che l'alleanza con la Lega ha comportato per il Movimento un salasso. È invece tutto da dimostrarsi che le cose sarebbero andate diversamente con un altro leader Per l'M5S, nato con inciso nel dna il rifiuto di ogni alleanza, andare al governo con un partner sarebbe stato comunque un trauma, e avrebbe comportato comunque un'emorragia di consensi.
L'idea che la cura per i danni provocati da un'alleanza, sbagliata in quanto alleanza prima ancora che per l'identità dell'alleato, potessero essere curati alleandosi con un partner opposto sarebbe difficilmente spiegabile ricorrendo agli strumenti della logica politica. Che in effetti in questa storia non è ha fatto neppure capolino, sostituita da una sorta di pensiero magico al quale Di Maio e Zingaretti avevano provato a non sottostare.
A differenza di tutti gli altri leader a eccezione naturalmente di Renzi che faceva e fa il proprio gioco. Con tutte le gaffes, gli strafalcioni e le ingenuità del caso, Luigi Di Maio ha provato fare del Movimento, foltissima assemblea mugugnante, una forza politica. Ha tentato di dare un indirizzo al Movimento ' né di destra, né di sinistra' indirizzandolo secondo la sua sensibilità: dunque verso destra molto più che non a sinistra.
Ma per un compito di tale portata sarebbe stata necessaria una leadership completa legittimata da una struttura di partito e non solo dalla nomina del capo. A maggior ragione, un cambio di indirizzo sarebbe dovuto passare una discontinuità sancita dal Movimento e non dall'ordine di un deus ex machina che compare, magari travestito da Joker, vaticina e scompare.
L'effetto formicaio impazzito che viene addebitato oggi a Di Maio è in realtà conseguenza delle ambiguità e dell'incapacità dell'M5S di nascere davvero come forza politica. Ma certo, si può dire che anche la leadership di Luigi Di Maio è frutto della stessa confusa ambiguità che oggi lo rende il capro espiatorio degli errori di quel Movimento.