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La vicenda della giudice Iolanda Apostolico ha posto al centro del dibattito il tema dei comportamenti da assumere quando si ricoprono ruoli delicati, oltre che prestigiosi. La giustizia amministrativa ha approvato qualche anno fa le linee guida sull’uso dei mezzi di comunicazione elettronica e dei social media da parte dei magistrati amministrativi. Si tratta, al momento, dell’unico strumento che regola nelle magistrature una serie di comportamenti all’esterno dalle aule dei tribunali. Alla stesura delle linee guida ha contribuito l’avvocato Salvatore Sica, ordinario di diritto privato nell’Università di Salerno, già componente del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa.
Professor Sica, forma e sostanza devono andare di pari passo? Una regola che vale anche per i magistrati?
Certamente. Rispetto al dibattito di questo momento, sempre molto attuale, sulla sobrietà e sulla imparzialità di forma e di sostanza che deve ispirare il comportamento dei magistrati, occorre sottolineare che la magistratura amministrativa è la sola ad essersi dotata di un regolamento-linee guida per l’uso dei social da parte dei magistrati amministrativi. Si ribadisce che non è assolutamente fatto divieto di usare i social. Nessuno intende comprimere la libertà di manifestazione del pensiero del singolo magistrato. Tuttavia, è sottolineato che l’uso in questione deve essere fatto in maniera sobria ed equilibrata. Con contenuti che in nessun modo possano interferire con situazioni processuali. Un magistrato che prende una posizione di vero e proprio schieramento politico dovrebbe avere sobrietà e correttezza. Dovrebbe tenere conto che un giorno potrebbe decidere su disposizioni normative o su fattispecie che abbiano direttamente o indirettamente a che fare con le tematiche e con le posizioni espresse.
L’elaborazione delle linee guida avvenne all’insegna della collaborazione tra magistrati e avvocati?
Il regolamento all’epoca non fu il risultato di una imposizione dall’alto. Venne elaborato dopo una serie di consultazioni con le organizzazioni di categoria. In merito alla mia esperienza, ritengo che le organizzazioni di categoria dovrebbero avere una funzione essenzialmente di tutela dell’indipendenza della magistratura. Il vero tema sul tavolo, quando furono redatte le linee guida, riguardò l’eliminazione di qualunque limitazione della libertà di manifestazione del pensiero del singolo magistrato. Il singolo magistrato rappresenta la magistratura nel suo insieme, il corpus cui egli appartiene. Sono molto preoccupato quando le associazioni di categoria non svolgono il compito proprio, ma assumono un improprio compito di rappresentanza politica complessiva.
Le linee guida messe a punto dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa sono auspicabili anche per le altre magistrature?
Credo che sia auspicabile l’invito da parte degli organi di autogoverno. In questo caso tutto il Csm dovrebbe avere la consapevolezza che appartenere a uno dei tre poteri dello Stato, probabilmente il più rilevante e significativo in questo momento storico in cui la giurisprudenza finisce per essere la vera e propria fonte del diritto, comporta un supplemento di responsabilità. Il potere non può esistere senza responsabilità e senza moderazione. Occorre avere la consapevolezza che le proprie posizioni rischiano di mettere in discussione l’equilibrio dei poteri, che poi è il bene supremo.
Calamandrei diceva che il giudice deve non solo essere imparziale, ma anche apparire tale. Una lezione sempre attuale?
Questo insegnamento è assolutamente attuale. L’affidabilità nel cittadino deriva dal fatto di avere davanti a sé un soggetto affidabile perché imparziale nella forma e nella sostanza. D’altra parte, non dimentichiamo che la giurisprudenza del diritto romano nasce collegata ad un profilo di probità. La figura del giudice tecnico viene molto tempo dopo rispetto all’idea del soggetto capace di prudente apprezzamento, in virtù delle proprie qualità morali e personali. Dovremmo, forse, tornare alla radice di una dimensione vocazionale mettendo in parentesi il “potere” nell’esercizio della giurisdizione.
In merito alla presenza della giudice Apostolico alla manifestazione del 2018 è stato rilevato che non protestava apertamente, non urlava e non inveiva contro le forze dell’ordine. Era un suo diritto stare tra i dimostranti. Cosa ne pensa?
Io credo che anche una sola presenza debba essere valutata sulle possibili ricadute in merito all’imparzialità e affidabilità del magistrato. Accettare di fare il magistrato, incarnando un potere oggi rilevantissimo, molto più del passato, significa anche imporsi, piaccia o no, un self-restraint. Se questo tipo di impostazione non va bene, c’è, comunque, la possibilità di vestire i panni dell’uomo o della donna di parte. Si può intraprendere la carriera nell’avvocatura. Si può decidere di scendere in campo nella politica. Se, però, si accetta di fare il magistrato, occorre anche una capacità di misura dei propri comportamenti. Non è indifferente essere presente ad una manifestazione, piuttosto che non andarci.
Le immagini postate dal ministro Salvini hanno suscitato perplessità sulle modalità del loro recupero per la successiva pubblicazione sui social. Che tipo di questioni emergono su questo punto?
Andrebbe fatta una verifica della fonte delle immagini e di come siano entrate nella disponibilità di chi le ha divulgate. È certo che quando c’è una partecipazione ad un evento pubblico non si può invocare la riservatezza. Quest’ultima può essere invocata, per esempio, per una pagina Facebook non aperta a tutti.
Lo scontro tra potere politico e magistratura si è di nuovo acuito?
Il tema è enorme e dura da almeno trent’anni. La parola d’ordine dovrebbe essere equilibrio. Il potere politico dovrebbe astenersi da qualunque forma di dichiarazione o di intervento che possa far pensare ad una messa in discussione dell’autorità della magistratura. È impensabile, sino al limite dell’illecito disciplinare, che un magistrato, in violazione dell’articolo 101 della Costituzione, decida una controversia anche con una interpretazione creativa tale da ignorare un intervento normativo. Il giudice deve tornare a considerare l’articolo 101 Costituzione come un fondamentale punto di riferimento. Ciò non vuol dire privarlo della propria capacità creativa.