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«La riforma pensionistica del governo è piena di anomalie che la rendono poco credibile». Ìl candidato alla segreteria del Pd Cesare Damiano - ex ministro del Lavoro e “inventore” delle “Quote”, al tempo del Governo Prodi - difende l’Ape sociale che il governo punta ad abolire e critica Quota100 del governo.
Diceva delle anomalie.
La prima: il fatto che nella legge di Bilancio venga indicata soltanto la cifra che verrà spesa per le pensioni, ovvero 6,7 miliardi di euro, ma manchi il dettaglio circa la modalità con la quale si intende realizzare Quota100. Secondo Salvini partirà a febbraio, ma se così fosse già saremmo in ritardo. La seconda sta già nella definizione usata in modo propagandistico: si chiama Quota 100, ma non è una quota.
In che senso non è una quota?
Se lo fosse, nella somma per arrivare a 100 l’età anagrafica e gli anni di contributi dovrebbero essere mobili. In realtà non è così, perchè è stato posto il requisito fisso dei 38 anni di contributi. Quindi, a Quota100 può accedere solo chi ha compiuto 62 anni, visto che la somma deve fare, appunto, 100. Chi ne ha 63 arriva a 101, e così via.
E il governo sembra orientato a eliminare l’Ape sociale, sull’assunto che si sovrappone a Quota100.
Chi lo dice, come il sottosegretario Garavaglia, non conosce il tema delle pensioni. Si tratta di due modalità distinte e la soppressione dell’Ape sociale danneggerà molte persone, soprattutto quelle più fragili: chi svolge lavori gravosi e le donne, che statisticamente versano meno contribuiti perchè hanno carriere più discontinue.
Per loro non si applica Quota100?
Certo, ma andranno in pensione più tardi rispetto a ciò che permette l’Ape sociale ad alcune categorie di lavoratori, come quelli che svolgono mansioni gravose, le donne con figli, chi ha congiunti con disabilità, è a sua volta disabile o disoccupato.
Mi faccia un esempio concreto.
Mario è un macchinista delle ferrovie di 63 anni. Con l’Ape sociale può andare in pensione con 36 anni di contributi, con Quota100 deve comunque aspettare i 38. Un altro esempio, Giovanni, sempre 63 anni, è disoccupato da più di tre mesi: con l’Ape sociale può andare in pensione con 30 anni di contributi, con Quota 100 deve lavorarne altri otto. Ancora: Marta ha 63 anni, ha un portatore di handicap a carico e ha due figli; con l’Ape sociale può andare in pensione con 28 anni di contributi, ora solo con 38. Le sembra che Ape sociale e Quota 100 siano la stessa cosa, per i lavoratori delle 15 categorie di impieghi gravosi, oppure per chi ha congiunti con disabilità? I lavori non sono tutti uguali e questa era la ratio dell’Ape sociale.
E perchè, secondo lei, il governo vorrebbe eliminarlo?
C’è una buona dose di superficialità nell’affrontare la materia. Accanto a questo, temo stia prevalendo la propaganda politica: non vogliono dire “miglioriamo quello che hanno costruito altri prima di noi”.
C’è ancora margine per salvare l’Ape sociale?
Certo, la normativa scade il 31 dicembre, basta approvare un emendamento che preveda una proroga. Anzi, do un suggerimento al Governo: se andasse a controllare, scoprirebbe che mantenere l’Ape sociale non avrebbe nemmeno un costo, perchè le risorse stanziate l’anno scorso, secondo me, sono state utilizzate da circa la metà delle persone previste, quindi a costo zero si può continuare la sperimentazione.
I dati della Cisl mostrano che chi andrà in pensione con la Quota 100 del governo incasserà assegni fino al 22% più leggeri.
Anche qui serve un’operazione verità. È evidente che, se una persona va in pensione a 62 anni anzichè all’età convenzionale di 67, versa 5 anni in meno di contributi. Più si versano contributi, più migliora la pensione. Quota 100 è uno scambio: la pensione è più bassa, ma in cambio si va in pensione prima.
Intanto, mentre infuria il dibattito sulla finanziaria, il Pd pensa al congresso.
Guardi, quando ho presentato la mia candidatura sono stato l’unico a presentare anche un programma. Quello di cui abbiamo parlato oggi lo ripeto girando l’Italia: parlo di economia, di temi sociali, welfare, pensioni, povertà e lavoro. Non conosco ancora, invece, i programmi degli altri candidati, al netto delle dichiarazioni.
Non saranno troppi, 8 candidati?
Lo considero una ricchezza del pluralismo interno, anche perchè dopo le convenzioni riservate ai soli iscritti i nomi si ridurranno a tre.
Teme che nessuno arrivi al 51%?
È plausibile che succeda, per questo dico che sarebbe preferibile che il più votato, superata la soglia del 40%, possa essere automaticamente proclamato segretario, senza passare dall’assemblea.